Eutanasia, suicidio assistito e aborto sono «crimini contro la vita umana», con tali atti «l’uomo sceglie di causare direttamente la morte di un altro essere umano innocente». I legislatori che li consentono, i medici che li praticano e tutti coloro che collaborano sono «complici».

È estremamente dura la lettera Samaritanus bonus «sulla cura delle persone nelle fasi critiche e terminali della vita», approvata da papa Francesco lo scorso 25 giugno e pubblicata ieri dalla Congregazione per la dottrina della fede, guidata dal cardinale gesuita spagnolo Luis Ladaria. Nulla di nuovo: la Chiesa cattolica ribadisce la propria dottrina tradizionale su eutanasia, suicidio assistito e aborto – il documento è pieno di citazioni di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI e Francesco – e conferma qualche apertura sulle «cure palliative» e contro l’«accanimento terapeutico», con molti se e tanti ma.

Il titolo della lettera, «il buon samaritano», rimanda alla parabola evangelica e invita all’«accompagnamento della persona malata nelle fasi terminali della vita, in modo da assisterla rispettando e promuovendo sempre la sua inalienabile dignità umana». Ma il testo, dopo qualche paragrafo dedicato «all’etica del prendersi cura» delle persone colpite da «malattie inguaribili», è fortemente prescrittivo.

L’assunto di partenza è «il valore inviolabile della vita», «una verità basilare della legge morale naturale ed un fondamento essenziale dell’ordine giuridico». Pertanto eutanasia, suicidio assistito e aborto, «anche in quei contesti dove le leggi nazionali hanno legittimato tali pratiche», sono «attentati contro l’umanità» e «atti intrinsecamente malvagi in qualsiasi occasione o circostanza», che non valorizzano l’«autonomia» della persona, ma al contrario «disconoscono il valore della sua libertà, fortemente condizionata dalla malattia e dal dolore».

Alla base, secondo l’ex Sant’Uffizio, vi è una fuorviante concezione della vita («considerata degna solo se ha un livello accettabile di qualità», mentre «ha un valore in se stessa»), «una erronea comprensione della compassione» («sarebbe compassionevole aiutare il paziente a morire») e «un individualismo crescente».

Ai malati terminali inguaribili bisogna fornire adeguate «cure palliative», compresa la sedazione profonda, purché non si configurino come «pratiche eutanasiche». È da evitare l’«accanimento terapeutico» (che non significa «desistenza terapeutica»), ma i confini sono stretti: «Non è lecito sospendere le cure efficaci per sostenere le funzioni fisiologiche essenziali, finché l’organismo è in grado di beneficiarne», quindi idratazione, nutrizione e termoregolazione non vanno interrotte, nemmeno nei pazienti in «stato vegetativo».

Chi sceglie eutanasia e suicidio assistito – compreso chi è iscritto a un’associazione che la sostiene – non può ricevere i sacramenti. Come dire: ha fatto bene il cardinal Ruini, quattordici anni fa, a vietare il funerale cattolico a Piergiorgio Welby.