«Tre vescovi di Roma e il socialismo cubano» è il titolo col quale il quotidiano dei giovani comunisti, Juventud Rebelde, ha presentato due giorni fa la visita di papa Francesco. La tesi dell’analisi è dimostrare quanto siano cambiati i tempi e le relazioni tra Chiesa e socialismo cubano dalla visita del primo papa, Wojtyla, nel 1998 a quella che sabato inizierà il primo pontefice latinoamericano.

17 anni fa in molti, in particolare della destra neoliberista, erano convinti che Giovanni Paolo II avrebbe contribuito al crollo del «socialismo criollo» come negli anni precedenti era avvenuto con i «socialismi reali» dell’Europa dell’Est. Le cose andarono diversamente e Wojtyla lasciò l’isola con l’auspicio che «Cuba si apra al mondo e il mondo si apra a Cuba». Ed è proprio questo messaggio che verrà ripreso e ampliato da Francesco. Con maggiore forza, perchénell’isola, da più di cinque anni è in corso un processo definito di «attualizzazione del socialismo cubano», ma che in realtà ha una valenza e uno scopo ben più profondi e che dovrebbe portare, per usare un’espressione di Juventud Rebelde, a «una nuova geografia» nell’economia e nella società e, si spera, anche aperture politiche. Il progetto di «un socialismo prospero e sostenibile», però, si scontra con difficoltà e le trasformazioni in corso non hanno portato a quei benefici nella vita quotidiana che gran parte della popolazione spera e reclama.

Oltre al socialismo cubano, anche il movimento cattolico e la Chiesa, hanno vissuto e vivono la propria stagione di cambiamenti traumatici. In accordo col presidente dell’Ecuador, Rafael Correa, papa Francesco è convinto che non sia sufficiente vivere un’epoca di cambiamenti, ma sia necessario un cambiamento di epoca. La Chiesa cubana si trova in sintonia con questo messaggio. Il vescovo dell’Avana, cardinale Jaime Ortega ha messo in chiaro che non è compito della Chiesa cambiare i governi, ma conquistare il cuore degli uomini, di coloro cioè che cambiano la società. Seguendo questa linea la Chiesa cubana è diventata di fatto la maggiore Ong di Cuba: dispone di numeroso personale specializzato, 600 chiese sparse in tutta l’isola, una rete assistenziale che è andata crescendo, una propria rete di insegnamento presente in quasi tutte le parrocchie, può già ricevere direttamente-cioè senza la mediazione del governo- una parte dei fondi che necessita. Questa situazione permette alla Chiesa di agire come un mediatore tra la società cubana e il governo e, assieme al Vaticano, tra il governo e l’Occidente, Stati uniti e Unione europea soprattutto.

L’efficacia di questa mediazione è stata ampiamente lodata sia dal presidente Barak Obama, sia dal suo omologo cubano Raúl Castro i quali hanno riconosciuto l’importanza della diplomazia vaticana e soprattutto di papa Francesco nel processo che ha permesso di mettere fine a più di cinquant’anni di guerra fredda tra gli Stati Uniti e Cuba. Quello compiuto lo scorso dicembre è stato «un passo storico», ma sempre un primo passo.

Per procedere nelle riforme di struttura essenziali per ridare fiato all’economia cubana, il governo dell’Avana ha bisogno di una massiccia dose di investimenti esteri, molti dei quali potrebbero arrivare dagli Stati uniti se il presidente Obama continuerà a chiedere il progressivo svuotamento delle leggi federali che danno sostanza al bloqueo, il blocco commerciale, economico e finanziario contro Cuba deciso cinquant’anni fa dagli Usa. La seconda parte della visita pastorale di Francesco, quella negli States sarà dunque importantissima per Cuba, se il papa latinoamericano avvallerà l’immagine di un governo cubano socialista, sì, ma politicamente stabile (Gli Stati uniti temono un’ondata migratoria massiccia di cubani in caso di sommosse nell’isola: con l’attuale legge infatti i cubani che mettono un «piede secco» negli Usa hanno diritto alla carta verde) e propenso a aperture economiche, sociali e un domani anche politiche.

Un ruolo siffatto di mediazione e di garante di stabilità implica però un rafforzamento della Chiesa cubana e del nuovo movimento cattolico laico che sta contribuendo a formare. In sostanza una sua maggiore presenza nelle istanze educative, della comunicazione sociale, dei servizi sociali, della carità e in tutti gli ambiti della vita pubblica del Paese. Probabilmente queste saranno le richieste che Francesco farà per ottenere una chiesa che possa favorire lo sviluppo della società civile nell’isola.