Cinquanta sei anni or sono, nella tarda mattinata del 27 aprile 1966, Paolo Rossi, studente del primo anno di Architettura, incontra la morte sulla scalinata della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Roma nel corso di una violenta aggressione perpetrata da un gruppo di studenti neofascisti. Ferve la campagna elettorale per il rinnovo degli organismi rappresentativi studenteschi e Rossi è colpito mentre distribuisce volantini con i nomi dei candidati dei Goliardi Autonomi, la lista unitaria di ispirazione democratica ed antifascista.

In una delle fotografie che quel giorno scatta Adriano Mordenti, si riconosce Paolo che tenta di calmare, che si interpone, trattiene. Che ci si fermi. No alla violenza.  «Vittima inerme e pure non inconscia delle ragioni e degli ideali che l’hanno condotta a morte, Paolo credeva e voleva che il mondo fosse liberato da ogni oppressione, fosse più aperto, più puro, più degno degli uomini veri. E perciò prendeva posizioni ed impegni con sé stesso e con gli altri». Queste parole Walter Binni dice il 30 aprile davanti al feretro di Paolo Rossi. Le ascoltammo noi in silenzio mentre dal pronao del Rettorato si spandevano per l’ampio piazzale della Minerva.

Le consapevoli ragioni e i consapevoli ideali di Paolo Rossi, a diciannove anni. Ha conseguito la maturità presso il Liceo Artistico nel luglio del 1965 e si è iscritto alla Facoltà di Architettura. Il 18 agosto di quell’anno il generale americano William Childs Westmoreland dà inizio alle operazioni Starlite, Highland e Silver Bayonet in Vietnam, dove da lungo tempo una guerra imperversa e, da quella estate, si fa più intensa e crudele. «Search and Destroy», cerca e distruggi, questo il programma: scovare i contadini nelle risaie e nei villaggi gli abitanti e stanare nelle foreste i combattenti e tutto, coltivi, case animali ed uomini, bombardare con il napalm, incendiare e radere al suolo.

1965, 2022. Cinquanta sette anni e continue nel mondo le guerre. E il sangue. In Asia, in Africa, in Medio Oriente, in America Latina, in Europa. Ora, mentre tra europei ci si uccide con crescente ferocia, tra i corpi straziati e le città devastate si incita alla guerra, se ne rivendica la giustezza. Si intende perseguire – fino alla vittoria ci dicono – la distruzione del nemico. Paolo Rossi prende posizione contro la guerra in quei mesi, tra un agosto e un aprile, l’ultimo agosto e l’ultimo aprile della sua giovane vita.

Paolo, cresciuto nello scoutismo cattolico, conosceva bene l’auspicio di Papa Giovanni XXIII, formulato nelle intense pagine della lettera enciclica Pacem in terris rivolta, era l’aprile del 1963, «a tutti gli uomini di buona volontà». «È evidente, o almeno dovrebbe esserlo per tutti, che i rapporti fra le comunità politiche, come quelli fra i singoli esseri umani, vanno regolati non facendo ricorso alla forza delle armi, ma nella luce della ragione; e cioè nella verità, nella giustizia, nella solidarietà operante». Continua Papa Roncalli: «È un obiettivo desideratissimo. Ed invero chi non desidera ardentissimamente che il pericolo della guerra sia eliminato e la pace sia salvaguardata e consolidata?».

Sulla facciata della Facoltà di Lettere e Filosofia là dove dalla violenza omicida fu recisa la vita di Paolo Rossi, sotto il bassorilievo che raffigura uno dei Dioscuri, campeggiano le parole di un giovane poeta tragicamente morto a ventisei anni che ardententissimamente denunciò, negli esametri del suo poema incompiuto, la «guerra atroce» ossia «la violenza fatta legge», la «gara di nefandezze», le «forze del mondo sconvolto levando arma minacciosa contro arma». Sta scritto: sacer et magnus vatum labor, omnia fato eripit, la sacra e grande fatica dei poeti tutto sottrae alla morte.

Vorremmo consentire con questi versi di Marco Anneo Lucano. Nessuno torna dalla morte. Ma, oltre la morte, resta di Paolo Rossi la memoria che agisce in noi vivi come un retaggio attivo di intelligenza e di umanità. Affidata a noi cinquanta sei anni fa è l’elaborazione del suo lascito, il quotidiano impegno che, ammonisce Lucano, donat mortalibus aevum, elargisce ai mortali una vita che non si estingue.