Paolo Putti, classe 1969, di professione educatore, è un grillino della prima ora. Il nucleo originario del Movimento 5 Stelle viene da quelli come lui, che si sono fatti le ossa nei comitati contro le grandi opere, come la Gronda. Ha sempre detto di non essere affatto convinto delle «proprietà taumaturgiche della rete» e di preferire allo spazio digitale «le riunioni in piazza e nei circoli operai». Nel 2012, alle scorse elezioni amministrative, è stato candidato a sindaco di Genova, sfiorando il ballottaggio. Nello scorso mese di gennaio, assieme ad altri due colleghi in consiglio comunale, ha lasciato il M5S. È la supposta sintonia di Marika Cassimatis con Putti che le è costata il posto di candidata sindaca. Per questo gli chiediamo cosa ne pensa degli eventi degli ultimi giorni. «Il post col quale Beppe Grillo annulla le primarie parla chiaro – risponde Putti – Già in precedenza era stato escogitato un metodo di consultazione che serviva a mettere a tacere il dissenso. Ma non ha funzionato, dunque si è annullata la votazione».

Quando parla di «dissenso», esattamente, a cosa si riferisce?

È cominciato tutto circa un anno fa. A Genova l’assemblea plenaria del M5S aveva deciso un metodo partecipato di scrittura del programma e discussione dei contenuti, proprio in vista delle amministrative. Questo percorso è stato vanificato da chi ha costruito un altro organo parallelo, facendo entrare nuovi iscritti per incidere sui contenuti e sulle candidature. Da queste parti il M5S era composto da persone che volevano pensare con la propria testa, essere autonome. Non ce l’hanno permesso.

Ieri Marika Cassimatis ha lanciato l’hashtag #EffettoDomino, per raccontare le storie di chi a Genova sta lasciando il M5S dopo gli eventi degli ultimi giorni. È inevitabile pensare al nome della vostra lista, «Effetto Genova». Si tratta di un’adesione? La accoglierete nella vostra lista?

A me non piace l’usanza dei partiti che recuperano persone che hanno momentanea visibilità per raccogliere voti. E con Marika non sarà questo che avverrà. Con lei c’è stima reciproca, anche se non l’abbiamo sempre vista allo stesso modo, tanto che io decisi di uscire dal M5S e lei di rimanere. Se ha voglia di partecipare, ovviamente ha spazio. Come hanno spazio tutti i cittadini che si vogliono impegnare.

Gli eventi di questi giorni confermano le ragioni della vostra uscita dal M5S?

Siamo andati via dal Movimento per rimanere coerenti con le nostre idee. Quando abbiamo iniziato ci dicevamo che i temi e i contenuti venivano prima di ogni schieramento. Negli ultimi tempi ci trovavamo costretti a dire che gli altri sbagliavano sempre, anche se proponevano cose giuste.

Sta parlando di una mutazione genetica.

Ci dicevano che contava il lavoro quotidiano e l’impegno sul territorio, e ci siamo trovati ad inseguire il consenso ed il like su Facebook. Volevamo che la gente si mettesse in discussione, che si impegnasse in prima persona e diventasse consapevole, ci ritroviamo a cercare la maggioranza dei voti a qualsiasi costo per arrivare al potere. E poi negli ultimi tempi non eravamo più liberi di dire la nostra, con la comunicazione centralizzata e il bisogno di chiedere il permesso ai vertici prima di parlare. Erano i giorni dell’ingresso all’Alde e della simpatia per Putin.