Il governo c’è e da qui al nuovo esecutivo, chi sa quando dopo il voto, «non si mette in pausa»: «Vi assicuro non tirerà i remi in barca ma, nei limiti della Costituzione, il governo governerà». Fedele alla sua immagine di presenza discreta ma efficiente, Paolo Gentiloni stavolta però supera se stesso.

NELLA CONFERENZA STAMPA di fine anno precedente, in quel concitato dicembre 2016 post disastro referendario (dsastro per Pd e governo), aveva comunicato con understatement la svolta dalle pirotecnie renziane (straperdenti, per questo era arrivato lui a Palazzo Chigi) verso un pragmatismo molto meno abbagliante ma non per questo troppo meno decisionista. Così è andata. «Non abbiamo tirato a campare. Pochi annunci ma questo governo non ha preso poche decisioni», ha confermato ieri in finta polemica con il predecessore, «l’Italia si è rimessa in moto dopo la più grave crisi del dopoguerra».

MA STAVOLTA il presidente uscente arriva a spiegare, con l’ormai consueta pacatezza da bollettino meteo, di essersi predisposto a una dissolvenza lunga, quasi quasi senza data. «Nei limiti della Costituzione» (e mancherebbe altro) che in realtà gli affida solo il disbrigo degli affari ordinari. Che tanto ordinari in realtà non sono: come la missione militare in Niger: «sacrosanta nel nostro interesse nazionale». Sacrosanta si vedrà, misteriosa di sicuro secondo le opposizioni di sinistra: «Aspettiamo chiarimenti. Chiediamo trasparenza sulle regole d’ingaggio, deve essere evidente la natura no combat della missione», avverte Arturo Scotto (Mdp). Una missione «no combat» contro il terrorismo in una zona «qaedista», come la descrive lo stesso Gentiloni? «Non basta un’autorizzazione in commissione, occorre un voto parlamentare. Anche a camere sciolte». Forza italia assicura copertura alla missione.

GENTILONI È COMUNQUE pronto ad assecondare i progetti del Colle. Che punta su di lui per una transizione «ordinata» da un governo all’altro, immaginando però tempi lunghi.

PER IL RESTO la conferenza di fine anno e fine legislatura del premier – che dopo la conclusione sale al Colle per controfirmare lo scioglimento delle camere – scivola senza colpi di scena. L’uomo ha la capacità di spegnere anche le poche cose che dice (vere o false all’elettore la sentenza). Tipo: «Conferma di aver voluto lei Boschi al governo?», gli chiedono. «Confermo». O sull’export: «Abbiamo cifre record, nun ce se crede», ma il suo romanesco è così bitish che non strappa il sorriso.

GENTILONI TIENE L’EQUILIBRIO fra il Colle e il Nazareno, un piede in una scarpa l’altro nell’altra. Renzi, coi sondaggi a picco, lo vuole uomo di punta di una campagna elettorale in cui le sue ’renzate’ potrebbero essere persino controproducenti. Il Colle, che punta su di lui per la stabilità da un esecutivo all’altro – gli raccomanda il contrario: cautela e fuori dalla mischia. «Le incognite della instabilità politica vanno affrontate con senso del dovere e senso della misura. Non bisogna drammatizzare», dice lui.

E COSÌ IL PREMIER USCENTE, uscente sì ma con tutta calma e con giudizio, rivendica la versione ’alla Gentiloni’ anche del partito, versione che è l’opposto antropologico prima che politico rispetto a quella del segretario: «Il Pd ha tutto l’interesse ad apparire quello che è: una forza tranquilla di governo», la citazione è del Francois Mitterrand del 1981. «Questo è il messaggio che a mio avviso deve trasmettere. E trasmettendolo recupererà consensi. È dalla sinistra di governo che bisogna partire», intendendo la sinistra che comprende Alfano e Casini, e che invece ha rotto con il resto della sinistra. C’è stata una scissione? Il premier auspica «che le conseguenze non siano rilevanti» e avverte che «non sempre promuovere divisioni porta successo».
SARÀ IL GOVERNO a fare da spot elettorale al Pd. Concetto che non si è ancora fluidificato fra Chigi e Nazareno. Circolano voci di malumori tra i ministri: candidarli nei collegi di origine (tipo Marco Minniti a Reggio Calabria) può dar luogo a contraccolpi pesanti in caso di bocciatura. Gentiloni non scende nel pericoloso dettaglio: «Abbiamo una sinistra di governo (i ministri, ndr) che deve svolgere un ruolo anche in futuro, e la cui credibilità è un patrimonio importante per il Pd e per il paese». Gentiloni fa Gentiloni: non ha apprezzato la Commissione Banche («Registro con sollievo la fine delle audizioni») e non ha «condiviso» l’offensiva renziana anti-Visco, ma rivendica di aver messo in sicurezza il sistema «senza regali ai mariuoli» (con quel provvedimento che fu costretto a fare di gran carriera e che Renzi non aveva voluto fare in campagna referendaria).

RENZI FA SAPERE di avere apprezzato tutto il discorso, anche se è il contrario di quello che avrebbe fatto lui. Ma non può che appellarsi al santo di Palazzo Chigi. E Gentiloni si schermisce, la legge elettorale chiede «un capo della forza politica e non può che essere il segretario del Pd», lui resta «in panchina», per ora «c’è un premier che sono io e che governa». Fino a nuovo ordine.