Bettino Craxi, con procedura e tempistica insolite, nel 1981 espulse dal Psi un gruppo di intellettuali tradizionalmente collocati nella sinistra del partito, quella che faceva capo a Riccardo Lombardi. Tra loro: Enzo Enriques Agnoletti, Tristano Codignola, Elio Veltri, Franco Bassanini e Paolo Leon. Avevano firmato un documento di dissociazione dai metodi di gestione del Psi e di denuncia dei casi di corruzione che già allora si erano insinuati nel partito.

Gli espulsi erano tutti esponenti della cultura di origine «azionista», collaboratori della rivista «l Ponte», che mal tolleravano il dirigismo autoritario craxiano e lo spostamento moderato della politica socialista.

Questo gruppo iniziò poi a collaborare con il Centro studi fondato da Claudio Napoleoni e Lucio Magri che in quella fase si proponeva di non accettare come inevitabile la rottura dei rapporti a sinistra. Quello stesso Centro pubblicò in seguito la rivista mensile «Pace e guerra» dove riversava i contenuti della propria ricerca politica e teorica.

Tra i più attivi e propositivi, c’era proprio Leon. A lui è sempre piaciuta una sinistra libera e libertaria, non gli sembrava vero – dopo aver lasciato il Psi – poter essere indisciplinato fino in fondo.

Da quel periodo in poi, Leon ha intensificato la sua attività di saggista senza mai abbandonare quella di accademico all’università. Lo aiutava in quello sforzo la direzione di alcuni centri studi (Arpes, Crel, Cles) che nel corso degli anni hanno formato decine di economisti.

A lui piaceva dialogare con le nuove generazioni trasmettendo l’idea che la lezione di lord John Maynard Keynes era restata attuale e fertile, malgrado il liberismo imperante dagli anni 80. Il keynesismo, come ha continuato a scrivere, gli appariva come la migliore soluzione nell’eterna lotta/mediazione tra Stato e mercato, capace pure di ridisegnare le conquiste del welfare. Da convinto socialista, Leon non puntava al superamento del mercato: bensì all’estensione della democrazia economica come leva della trasformazione sociale.

Riviste, quotidiani (ovviamente anche «il manifesto»), convegni, hanno avuto il suo instancabile contributo sotto forma di articoli, saggi, interventi, interviste.

Uno dei luoghi privilegiati d’azione di Leon è sempre restato però il sindacato, la Cgil: soggetto per lui unitario di qualsiasi politica di sinistra. Amico e collaboratore di Fausto Vigevani (storico leader socialista della Cgil), negli ultimi anni ha presieduto il Comitato scientifico della Fondazione Luoghi comuni, funzione pubblica Cgil.

Con la morte di Paolo Leon perdiamo una intelligenza critica e vivace, un appassionato interlocutore del dibattito economico, un maestro e un divulgatore. Ma ci mancherà altrettanto la sua personalità così particolare: sempre spiritoso, ironico, brillante, disponibile, con la battuta pronta.

E sempre ottimista, anche quando a noi più giovani sembrava non ci fossero ragioni per esserlo.