Sono tre le linee sulle quali si è mossa l’inesausta passione di Paolo Grassi per i libri, che lo infiammerà per tutta la vita. Due, ritenute principali e trasformate presto in mestiere, peraltro strettamente intrecciate tra loro, sono quelle del curatore di collane e dell’editore. Qui più che i rapporti con Rosa e Ballo, Einaudi o l’Electa, di cui si è in possesso di numerosa e già studiata documentazione, andrebbero approfonditi gli inizi con l’attività condotta per le Edizioni di Pattuglia (nella biblioteca Saffi di Forlì si ha modo di leggere l’intero carteggio sopravvissuto con Walter Ronchi, animatore delle edizioni e con altri interlocutori) con quattro solo numeri e che numeri con Joppolo, allora drammaturgo di riferimento per il nuovo teatro italiano di regia, le prime prove teatrali di Testori e addirittura l’Orfeo di Cocteau tradotto da Strehler; le Edizioni de Il Poligono (i cui libri si possono trovare integralmente alla Biblioteca Sormani di Milano e guardare a tal proposito titoli e curatori dei rispettivi volumi per capire quanto fosse avanzata la scelta di argomenti e collaboratori da parte di Grassi); e la collana Documenti di Teatro condotta con Giorgio Guazzotti per la Cappelli editore di Bologna, più ecumenica e divulgativa (andrebbe gettato uno sguardo anche sul breve e infelice rapporto con Feltrinelli, da cui però uscirà – da lui prefata – la biografia brechtiana di Frederic Ewen, curiosamente e di recente ristampata proprio senza il contributo di Grassi).

In tale contesto poi è da ridisegnare l’attività editoriale del Piccolo Teatro con i Quaderni, i volumi bilancio, i programmi di sala, ecc. Mentre, la terza linea, più nascosta e per questo in apparenza marginale,  è quella del lettore. A cui vale la pena aggiungere in un accoppiamento giudizioso quella del collezionista di edizioni antiche e di pregio. Sulla frammentazione di quest’ultima parte di collezione andata venduta e o dispersa le narrazioni sono talmente disparate da sfiorare aneddoti di varia fantasia che gli sarebbero tanto piaciuti perché come diceva Strehler |«so che tu amavi gli aneddoti». Comunque qualche esemplare è rimasto nella Biblioteca ospitata a Martina Franca nei locali della Fondazione Paolo Grassi, che ha in deposito l’intero archivio dei documenti della Presidenza Rai, lasciato da Nina Vinchi insieme anche alla sua parte di biblioteca che condivideva con Grassi all’indomani del loro matrimonio avvenuto nel 1978. Nella mostra, Paolo Grassi. Senza un pazzo come me, immodestamente un poeta dell’organizzazione, ora a Martina Franca, nelle sale di Palazzo Ducale, dopo l’apertura milanese, è  esposto il De Architectura di Leon Battista Alberti, che può essere osservato a posteriori quale testimonianza dello sguardo di Grassi sull’Umanesimo e il Rinascimento come epoche in cui la centralità dell’uomo veniva guadagnata attraverso fecondi incroci tra saperi diversi, tra letteratura e tecnica, teoria e artigianato. Insomma, in un’etica del costruire che l’Impresario milanese (il termine è usato con la leggera connotazione mozartiana che ne dava sempre Strehler) forse derivava dai giudizi gramsciani sul grande architetto, tra gli iniziatori del “mondo moderno” e della formazione di una coscienza borghese. Non si scomoda a caso il nome del pensatore sardo. Gramsci al pari di Brecht ha un ruolo centrale nella biblioteca di Grassi

In più occasioni Grassi ricorre all’autore dei Quaderni. Tra l’altro la fondazione del Piccolo è del medesimo anno dell’uscita delle Lettere: il 1947. Di certo Grassi non può averlo letto prima, anche se non si può escludere che da giovane frequentatore della redazione de Il Sole e per la presenza del padre nei quadri attivi del quotidiano economico milanese conoscesse Piero Sraffa che di Gramsci fu amico e sostenitore, nonché primo custode degli scritti. L’altro intreccio con Gramsci fu che Grassi ne ereditò la rubrica Teatri su L’Avanti (Le cronache teatrali di Gramsci si fermano al 1920, quando lasciò il testimone a Gobetti e Grassi riprese quest’attività critica nell’immediato dopoguerra, proseguendo una linea culturale sperimentata già su altri fogli e riviste prima e durante il secondo conflitto mondiale).

Qui si ferma la comunicazione, perché non è intenzione aprire discussioni sulle modalità di gestione degli archivi, persone competenti in materia partecipano al convegno, I libri di Paolo Grassi, aperto dal 30 luglio a Martina Franca nel novero delle iniziative organizzate per il centenario della nascita di Paolo Grassi. Né è altrettanto intenzione continuare sull’autobiografia raccontata ad Emilio Pozzi, uscita per Mursia nel 1977, con Grassi in procinto di passare dalla sovrintendenza della Scala alla presidenza della Rai, ma già animato da inquieti presentimenti. Il libro in questione è l’unico pubblicato in vita da Grassi, che preferiva affidare il suo pensiero a comunicazioni più immediate come articoli per giornali e quotidiani, relazioni e interventi in incontri e convegni, prefazioni a volumi, amata anche la forma intervista e sopratutto l’uso di lettere, appunti, fogli sparsi indirizzati o affidati ad interlocutori pubblici o amici di lunga data.

Pertanto, si accolgono le parole di Strehler, pronunciate durante la cerimonia funebre dell’amico. Nell’ultima parte del commovente intervento del compagno di sempre si ritrova il Grassi più intimo e fragile per come chi scrive l’ha conosciuto per procura, lavorando alla mostra e osservandone per mesi la parte privata grazie alle lettere, documenti, racconti, fotografie, filmati, ecc: «Tu caro silenzioso, tu l’uomo più silenzioso dentro che io ho conosciuto mai e che sei passato invece per uno che gridava sempre, tu hai sempre creduto negli uomini e degli uomini hai creduto di più il loro bene che il loro male e quindi hai quasi sempre sbagliato nel valutarli tranne pochi, i migliori per amore dell’uomo, per fiducia nella vita».