Paolo Gentiloni, già presidente del consiglio e ministro degli esteri, era dato ieri agli affari economici della Commissione Europea. Lo ha ipotizzato anche il commissario europeo al bilancio uscente, il popolare tedesco Gunther Oettinger secondo il quale che un ex primo ministro che arriva uno dei paesi fondatori dell’Ue ha sempre la competenza per prendere un portafoglio importante. C’è solo un’altra persona nella stessa posizione: l’ex premier lettone Valdis Dombrovskis, già vicepresidente della Commissione con la delega all’economia, un «falco» rigorista che potrebbe ricostituire con Gentiloni la coppia del poliziotto cattivo e di quello buono già composta con il francese Pierre Moscovici. Insieme potrebbero esaminare per i prossimi cinque anni le leggi di bilancio dei paesi membri. Compresa quella italiana. Ieri Gentiloni era dato ancora all’industria e al mercato interno o alla concorrenza, dov’era candidata anche l’ex numero due della Banca di Francia Sylvie Goulard indagata nel suo paese per avere remunerato un assistente che non lavorava più per lei quando era deputata europea. «Ma aspettiamo e vediamo» ha aggiunto Oettinger.

LE VOCI SU UNA NOMINA di Gentiloni al portafoglio economico più importante in un continente che vede arrivare la recessione in Germania e osserva la stagnazione italiana ha sollevato ieri le critiche del cancelliere austriaco Sebastian Kurz (Ppe) che ha ribadito su twitter la posizione rigorista. Non sembra una posizione influente sui destini di una Commissione decisa dall’asse franco-tedesco, a cominciare dal suo ruolo apicale. L’interesse congiunto sembra piuttosto essere quello di un ritorno a politiche espansive, pur nel rispetto di una «stabilità» del bilancio. Un’endiadi, quella tra crescita e rigore, che sarà mantenuta nell’annunciata revisione del patto di stabilità e dell’architettura istituzionale del Fiscal Compact, Six Pact e Two Pack. Sia Parigi che Berlino hanno bisogno di un allentamento, ma nel rispetto della logica ordoliberale dei trattati. Lo ha confermato il presidente dell’Eurogruppo, Mario Centeno. La nomina di Gentiloni, e il governo che l’ha stabilita, è l’espressione organica di un percorso che ha ammorbidito lo scontro tra «rigoristi» del Nord e «cicale» del Sud, ma non ha corretto la logica che salda il fondamentalismo di mercato con le idiosincrasie contingenti delle potenze europee.

OGGI A MEZZOGIORNO la presidente della Commissione Ursula Von Der Leyen comunicherà a Bruxelles l’assegnazione dei portafogli ai 27 commissari nominati dai paesi membri: 14 uomini, 13 donne; 10 socialisti, nove Ppe, sei liberali, un verde e un conservatore. In seguito il parlamento europeo dovrà dare il proprio consenso al collegio dei commissari, inclusa la presidente tedesca. Il voto sarà preceduto dall’audizione dei commissari che può rivelarsi insidiosa. Sarà il Consiglio Europeo a nominare la Commissione che entrerà in carica il primo novembre, insieme alla presidente della Bce Christine Lagarde designata a succedere a Mario Draghi, mentre la bulgara Kristalina Georgieva andrà all’Fmi.

L’EVENTUALE nomina di Gentiloni agli affari economici è l’esito di un clamoroso rovesciamento del fronte politico. Sul piano europeo collocare l’ex premier Pd agli affari economici significa coinvolgere uno dei paesi più vulnerabili, sia economicamente che politicamente. nel nuovo perimetro deciso dal potere continentale. Sul piano interno, la nomima sarebbe il completamente della linea politica ribadita ieri da Conte alla Camera e indicata dal presidente della Repubblica Mattarella nel messaggio al Forum Ambrosetti di sabato: una revisione del patto di stabilità, scomputo degli investimenti dal calcolo del deficit, ridefinizione dei parametri sul deficit strutturale o completamento dell’unione bancaria. Il tutto accompagnato da misure «anti-cicliche» per il «lavaggio verde» del capitalismo basato sulle energie fossili, un altro obiettivo che lega oggi Roma a Bruxelles. La linea sarà tenuta dall’ex presidente della commissione economica del parlamento Ue Roberto Gualtieri (Pd), ora al ministero dell’Economia, dal ministro agli affari europei Enzo Amendola (Pd) e, al vertice, da Gentiloni a Bruxelles.

QUESTO potrebbe essere l’approdo del misterioso harakiri politico voluto l’otto agosto scorso dall’ex ministro con il mojito al Papeete: Matteo Salvini, il padrone politico del «Conte Uno» sostenuto da Lega e Cinque Stelle, quello che diceva di volere andare alle elezioni per i «pieni poteri». Un mese dopo, la legittimità politica del social-liberismo è stata ristabilita. Anche se, in condizioni diverse, non è mai stata messa in dubbio, tanto meno dalle velleità declamatorie dei «sovranisti». Gli stessi che hanno inviato il Conte Uno a trattare a Bruxelles per evitare due procedure di infrazione in sei mesi.