«I morti non sono morti e non stanno in un distante Altrove; ci sono prossimi, ma abitano il diafano. Come figli o genitori prodighi, sono suscettibili di tornare, pronti o incerti, attraverso una liquida iniziazione di acqua e fuoco, intrisi di luce, suono e colore».
Con Paolo Fabbri avevamo visto insieme Ocean Without a Shore, l’installazione di Bill Viola nella chiesetta di San Gallo a Venezia. Era il 2009 e Fabbri pensava allora alla figlia Alessandra, prematuramente scomparsa. L’opera di Viola lo aveva così colpito da scrivere un saggio – fra i suoi più belli – e dedicarlo proprio a lei, «Alexa» e «Sandrine». Oggi che lui non c’è più, le sue lucide parole sui morti che sono virtualmente vivi risuonano.

I TANTI ALLIEVI che ha avuto, in Italia e nel mondo, sanno che solo fisicamente Fabbri non c’è e che si presenterà in altre forme, da chiaroveggente com’era, a indicarci la via. «Ci segue come guida», era la formula con cui ricordava gli intellettuali conosciuti e che lasciano un segno: Greimas, Barthes, Deleuze, Guattari, Marin, Eco.
Fabbri non è mai stato un presentista, di quelli che corrono dietro alle mode del momento pur di apparire visibili. Ha avuto una sagacia straordinaria nell’indovinare temi – la traduzione, la mischia in battaglia, lo spionaggio, il camouflage, il diafano, la combinatoria artistica, il tatuaggio, la competenza – e nel trovare il giusto modo di studiarli. Ma il pensare e il produrre per lui erano aere perennius, lanciati oltre l’arco della singola esistenza. In questo sta la sua «semiotica», sinonimo di insegnamento: cogliere segni, nelle esperienze sociali e personali che facciamo, e lasciarne. Un progetto di vita collettivo e transgenerazionale di respiro, come ce ne sono pochi oggi. Seminale. Non v’è da stupirsi che fosse così orgoglioso della Ray cat solution, la soluzione escogitata con la chimica Françoise Bastide nel 1981, su commissione della Human Interference Task Force del Department of Energy and Bechtel Corp degli Stati Uniti, per informare le generazioni future della presenza di scorie radioattive. I gatti cambiano colore se esposti a radiazioni e quindi un loro improvviso mutamento è il segnale di luoghi pericolosi da abbandonare e con rifiuti da smaltire. Di recente l’articolo scientifico uscito nella rivista Zeitschrift für Semiotik nel 1984 e che spiegava questa proposta è diventato un documentario diretto da Benjamin Huguet e selezionato al Pariscience 2015-International Science Film Festival. Un laboratorio indipendente a Montreal, brico.bio, sta studiando i comportamenti degli animali ad ambienti inquinati in questo senso.

CON UN’INTENSITÀ straordinaria, Paolo Fabbri si è battuto contro la piattezza del pensiero, invitando dal Centro di Urbino da lui fondato nel 1970 e diretto fino alla fine, a non limitarsi a visioni univoche, a guardare le cose per mezzo dei loro contrari, complementari e contraddittori, rovesciandole e smontandole. «Com’è che non ci avevo pensato prima?» – è la domanda più frequente dopo aver incontrato Fabbri, che ha saputo dissipare le nebbie dei processi sociali, intrattenendosi come interlocutore prezioso e richiestissimo di sociologi, antropologi, filosofi, storici dell’arte, professori e tecnici nel campo delle scienze dure.
La limpidezza, la freschezza e lo charme della sua comunicazione orale lo hanno reso indelebile anche nella memoria dei non addetti ai lavori che, scrivendogli per manifestare il loro interesse, hanno sempre ricevuto da lui risposte pronte e generose. La sua capacità di raccontare, l’acume nel descrivere testi letterari, fotografie, fumetti, film, capi d’abbigliamento, manifesti pubblicitari, restano impressi, perché non li ha mai considerati uno strumento di sfoggio della sua bravura, ma veicoli di trasformazione sensoriale, passionale e cognitiva inventati da uomini per altri uomini, nei modi del discorso diretto, indiretto o «indiretto libero», quello del Fellini che gli piaceva di più.

NON GLI PIACEVA INVECE concludere le ricerche, mettere un punto, esprimere sentenze definitive. Ha trasmesso oralmente più che per iscritto, come i grandi vati. Di qui il soprannome di Abbas Agraphicus del personaggio di Paolo da Rimini ne Il nome della rosa, che Umberto Eco ha costruito ispirandosi a lui. Fabbri però ha pubblicato moltissimo: riedizioni di classici della semiotica (Saussure, Hjelmslev, Greimas, Lotman, Barthes) e di interlocutori privilegiati (Cassirer, Lévi-Strauss, Benveniste, Merleau-Ponty, Foucault, Goodman), utili a rinsaldare la disciplina e a mantenere standard qualitativi alti. Nella semiotica «marcata», di cui è stato il luminare, non c’è posto per sintesi telescopiche, per divagazioni in cui tutto fa poltiglia. La descrizione è il veicolo della comprensione, un microscopio critico e clinico in grado di cogliere tessuti di relazioni nelle opere, dimostrando come esse ci significano e significano le nostre esperienze nel mondo.

VUOL DIRE ALZARSI «sulla punta della propria ignoranza» – diceva spesso – e di fronte all’arte sostare, per lasciare emergere quel che immediatamente non si vede. Questo sguardo lento porta ad assaporare l’opera, a riservarsi dei momenti di distacco che possono dar luogo all’estesia, a scoprire la trascendenza nell’immanenza.
Se un discorso finito in Paolo Fabbri è raro, ciò che ha detto o scritto tornerà altrove, spunterà domani dal mezzo di una nostro discutere, per evolversi, rimodularsi. Il sentimento di riconoscenza per quanto ci ha insegnato è immenso e a Urbino e in molte altre sedi e istituzioni nazionali e internazionali si rafforza il desiderio di tramandarlo, in un progetto da sempre fatto per continuare. Ci segue come guida.

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Ricerche, saggi e «The Ray Cat Solution»

Paolo Fabbri ha insegnato Semiotica in molte università italiane (Roma, Venezia, Bologna, Milano, Firenze, Urbino, Palermo) ed estere (Parigi, San Diego, Los Angeles, Toronto e in Australia, Spagna, Brasile, Argentina, Messico, Lituania, Colombia, Perù). È stato direttore del Centro Internazionale di Scienze Semiotiche «Umberto Eco» (CiSS) dell’università di Urbino Carlo Bo, che ha fondato nel 1970. Dal 1992 al 1996 ha diretto l’Istituto italiano di cultura a Parigi e dal 2004 al 2006 ha presieduto l’Institut de la Pensée Contemporaine, Université de Paris VII D. Diderot. È stato direttore della Fondazione Fellini di Rimini (2011-12) e del Mystfest Cattolica (1996-97), consigliere scientifico del Prix Italia (Rai, 1999-2001), presidente del Festival dei Popoli, Firenze (2001-2004). Fra le sue pubblicazioni, «Tactica de los signos» (1996), «La Svolta Semiotica» (1998); «Elogio di Babele» ( 2000), «Segni del tempo» (2004), «L’Efficacia semiotica. Risposte e repliche» (2017), «Sotto il segno di Federico Fellini» (2019), «Vedere ad arte. Iconico e icastico» (2019). Per il Department of Energy and Bechtel Corp degli Stati Uniti ha sviluppato, con la chimica Françoise Bastide, l’originalissimo progetto The Ray Cats Solution, per informare gli umani del futuro della presenza di scorie radioattive, www.theraycatsolution.com