Da martedì 20 maggio nuovamente agli arresti domiciliari, come Luca Fagiano del Coordinamento cittadino di lotta per la casa, Paolo Di Vetta è uno dei portavoce dei movimenti per il diritto all’abitare a Roma. Invece di organizzare riunioni e manifestazioni, oggi è agli arresti domiciliari nella sua casa occupata alla periferia est della Capitale. Ci troviamo in una di quelle zone di speculazione edilizia contro la quale si batte da un decennio. Anche qui è palese l’ombra dei signori del mattone che si sono arricchiti con le giunte di ogni colore facendo crescere a dismisura la città e le sue diseguaglianze.

Incontriamo Di Vetta all’indomani dei 40 fermi degli attivisti romani, poi rilasciati, a Piazza del Popolo durante il comizio del presidente del Consiglio Matteo Renzi. «Da quello che ho visto in televisione la piazza mi è sembrata mezza vuota – osserva Di Vetta – Un segnale di debolezza per chi ha detto che il Partito democratico riparte dalle piazze. Una debolezza che si trasforma in nervosismo quando alle piazze vuote si accompagnano continue contestazioni».

Se non fosse stato costretto ai domiciliari, il portavoce dei Blocchi Precari Metropolitani assicura che sarebbe andato a Piazza del Popolo. Di Vetta è invece tornato ai domiciliari in una maniera che solo eufemisticamente si può definire anomala. Alla fine di una conferenza stampa a Piazza Montecitorio contro l’approvazione del piano casa, gli agenti della Digos lo hanno arrestato. Un’ora dopo Di Vetta doveva tornare in commissariato per assolvere all’obbligo quotidiano di firma. «È stato un gesto per mostrare i muscoli – racconta Di Vetta – certo ci aspettavamo che potessero arrivare nuove indagini, ma la modalità con cui è venuto il nostro ritorno ai domiciliari, come ci hanno confessato gli stessi agenti, è stata ordinata dall’alto, non è stata casuale».

L’ordinanza, firmata dal Gip Cinzia Parasporo dopo la richiesta del Pm Eugenio Albamonte, parla chiaro: Di Vetta e Fagiano non si sono ravveduti e hanno continuato a reiterare il reato, nonostante «la gravosa misura» della firma quotidiana. L’unica possibilità per evitarlo è la «formula detentiva». Il dispositivo cita gli incidenti avvenuti durante la manifestazione del 12 aprile scorso contro il piano casa e il decreto Poletti sui contratti a termine.

Per questa manifestazione Fagiano e Di Vetta hanno firmato l’autorizzazione in Questura, ma non si sono dissociati dagli incidenti. Per l’accusa avrebbero permesso ai «facinorosi» di rientrare nel corteo. La magistratura ha acquisito le interviste e le dichiarazioni fatte dopo lo sgombero di un edificio nel quartiere della Montagnola avvenuto il 16 aprile successivo, portato a termine con cariche e manganellate. I video e le registrazioni evidenziano il ruolo di «mediazione» che Di Vetta e Fagiano hanno provato a svolgere con le forze dell’ordine al fine di evitare l’intervento dei reparti e intavolare una trattativa. In più durante le cariche Di Vetta è stato colpito violentemente da una serie di manganellate alla testa. Nell’ordinanza la situazione descritta è molto diversa: sarebbero stati loro a provocare lo scontro.

Di Vetta non rinuncia a immaginare le prossime tappe della resistenza contro l’articolo 5 del piano casa Lupi che prevede i tagli delle utenze alle occupazioni e il divieto di residenza. «Stiamo raccogliendo i primi casi di rifiuto della residenza – spiega – e i nostri legali andranno fino in fondo. Crediamo ci siano i margini legali di mettere in discussione il provvedimento, che sembra palesemente incostituzionale. Siamo pronti a chiamare in causa società pubbliche come l’Acea che dovrebbero procedere ai distacchi e le istituzioni locali. Dobbiamo avere il coraggio di immaginare momenti pubblici di confronto tra chi subisce un provvedimento ingiusto e chi, magari suo malgrado, si trova ad applicarlo. Dal Comune alla Regione Lazio ci auguriamo che gli amministratori locali facciano la loro parte».

Due giorni fa Di Vetta e Fagiano hanno appreso che potrebbe essere messa in discussione la possibilità di scontare i domiciliari in una casa occupata. Sono stati sollecitati a indicare un domicilio diverso. «Queste sono le nostre case, dove viviamo e abbiamo i nostri affetti e le nostre cose – risponde Di Vetta – Non accetteremo di indicare luoghi diversi».