A Paolo Poli il Niccolini è toccato in sorte due volte. A distanza di 38 anni. Firenze restava la sua città. Seppur conflittuale. 6 novembre 1978. Dopo le fumose stagioni del cinema, come volevano i gusti del pubblico e le ragioni del botteghino, la gloriosa sala di via Ricasoli, già del Cocomero, la prima in città, anno domini 1650 per volontà dell’Accademia degli Infuocati, riapriva il sipario, artefici magici Roberto Toni e Carlo Cecchi. 8 gennaio 2016. Dopo vent’anni di incuria e abbandono, a vecchia vita restituito, debitamente rimesso a nuovo, il Niccolini riaccendeva le luci, nel frattempo entrato nell’orbita del Teatro della Toscana. Per Poli sarebbe stata questa l’ultima apparizione in pubblico. Su un palcoscenico. Non fu un recital né tanto meno uno spettacolo.

Fu, a guardarlo ora, un geniale «testamento» artistico. Una chiacchierata a ruota libera, punteggiata da contributi video e audio, foto, immagini, poesie, un dialogo giocoso e irrispettoso, una inedita carrellata fra l’ieri e l’oggi in perfetto stile Poli, con la lettura di alcune pagine dell’amato Palazzeschi. Poli qui fu di casa per tutti gli anni 90, da solo o in compagnia della sorella Lucia. E dove ancora una volta tornava a essere l’eterno ragazzo che ci ha insegnato il gusto dell’irriverenza beneducata, sempre utile a rispondere per le rime, a sfornare la sua proverbiale verve, dissacrante baldoria di mefistofelica leggerezza, che culminava, mirabile sintesi, nei leggendari «bissini», attesi come epifania salubre della cattiveria e della lussuria.

Così lo ricordiamo, Paolo Poli, l’immancabile farfallino per cravatta, esile e sornione, inguaribilmente beffardo, un illuminista della risata, pezzi di vita e spezzoni di carriera, fra il vero e il finto, a ridersi addosso e riderci sopra, gli aneddoti, i fattacci, le battute a veleno.

Come quella prima volta, 1978, birichino elegante in frac, Ariel e Puck, al piano Jaqueline Perrotin, che faceva «Mezzacoda» escursione nell’italica canzonetta primi 900, patriottica e mammona, fra colombe, patatine, sommergibili, impavidi balilla e tuber: «le donne dei paesi nordici amano molto differentemente da quelle dei paesi sudici». Qualcuno gli chiese se riaprire il Niccolini per la seconda volta, poteva dirsi un ritorno a casa: «Ma quale ritorno a casa, spero di morire all’estero, come Dante Alighieri». Irriverenza oblige.