Il pannolino, come suggerisce il nome, era fin dall’antichità un «panno di lino» con cui le mamme avvolgevano e fasciavano i loro piccoli. Grazie all’introduzione del cotone (Europa, IX secolo), che era un tessuto molto più assorbente, fresco e resistente ai lavaggi, nacquero i «diapers», (letteralmente «quadratini ripetuti»), pezze di cotone piegate a rettangolo e trattenute con una spilla da balia, che poi presero varie forme, dai ciripà con laccetti, ai fitted sagomati.
Fu un ingegnere chimico americano, Victor Mills (dipendente della Procter&Gamble), a inventare nel 1961 i primi «diapers» monouso, in cellulosa e plastica, provandoli sul nipotino. Il successo fu strepitoso. Dopo il marchio Pampers, molte altre aziende lanciarono sul mercato i loro marchi di pannolini monouso. E così, tra i pannolini usa e getta, muoveva i suoi primi passi la «plastic generation». Erano gli anni dell’emancipazione delle donne che, stanche di lavare a mano i pannolini, abbandonarono in massa i ciripà e passarono agli usa e getta.

NEL 1982 L’INVENZIONE DEL GEL super assorbente (SAP), garantì una «tenuta stagna» di ore e ore, mentre i pannolini erano sempre più sottili. Da allora, in sessanta anni, i pannolini monouso letteralmente hanno invaso il mondo: circa un miliardo di pannolini usati e gettati ogni giorno nel pianeta.
Anche se a ben guardare l’esigenza dei pannolini non è mai stata universale: ancora oggi nei paesi più caldi (Asia, Africa e Sud America), moltissimi bambini non indossano pannolini e le mamme ne riconoscono in anticipo i segnali. Una pratica con positive ripercussioni ambientali e di salute, introdotta di recente anche nei paesi occidentali, col nome E. C. Elimination Communication, pratica che spesso si coniuga con l’utilizzo part-time dei lavabili.

SI’, PERCHE’ A PARTIRE DAL NUOVO MILLENNIO i figli della «plastic generation» i giovani genitori di oggi, grazie ad una rinnovata consapevolezza ambientale, stanno riscoprendo per i loro piccoli i pannolini lavabili. Secondo Giorgia Cozza, scrittrice, giornalista, «lo scenario è totalmente cambiato dal tempo delle nostre nonne, oggi il carico di lavoro per le famiglie che usano gli usa e getta è simile a quello delle famiglie che usano i lavabili» (Pannolini Lavabili, Il Leone Verde). Non esistono più solo i ciripà! I pannolini lavabili «moderni» si mettono con la stessa velocità e comodità degli usa e getta, e si lavano in lavatrice insieme ai vestiti.
Nel 2001 è nata un’associazione che si chiama, appunto, Nonsolociripà, ora estesa capillarmente in tutta Italia, è formata da genitori volontari che danno informazioni ed organizzano incontri gratuiti. Nel loro sito (www.nonsolociripa.it) c’è anche un elenco delle «Pannolinoteche» che prestano kit di lavabili e dei Comuni che riconoscono incentivi all’acquisto.

Gli incentivi comunali sono importanti, soprattutto per sensibilizzare le famiglie, ma è giusto dire che anche senza incentivi i pannolini lavabili risultano più economici degli usa e getta. I pannolini usa e getta costano ai genitori dai 1.500 ai 2.000 euro (in 24-30 mesi), mentre per acquistare un kit di 25 pannolini di diverse tipologie (che durano dalla nascita al vasino) compreso il costo dell’energia elettrica, dell’acqua e del detersivo per lavarli, si arriva a circa 600 euro. Ma ovviamente se si riusano con altri figli, o se si comprano usati, il costo scende ulteriormente.

I PANNOLINI SI ACQUISTANO ONLINE O NEI NEGOZI specializzati. «Grazie ai pannolini lavabili si creano posti di lavoro etici» afferma Sara Mandalà, che ha fondato con suo marito Davide nel 2006 Ecobaby.it, un negozio fisico e online. «Noto sempre più interesse, la crescita per quest’anno è circa del 50%». Nascono anche piccole aziende artigianali (come Culla di Teby e Gagolini) dall’iniziativa di mamme che progettano e realizzano i pannolini in modo artigianale, con tessuti naturali ed ecologici, riuscendo così ad inventarsi un lavoro che concili famiglia, lavoro, etica ed ecologia.

Alcune difficoltà si riscontrano però ancora nei nidi: «La possibilità di utilizzo è lasciata alla discrezionalità delle singole strutture» racconta Valentina Buonavoglia, presidente dell’associazione Nonsolociripà. «Ancora c’è poca informazione e quindi resistenza ingiustificata. Abbiamo chiesto che venga fornito dal Ministero della Sanità un protocollo per la gestione e lo stoccaggio nei nidi, speriamo ora in una risposta da parte del nuovo governo».

D’ALTRONDE, COME SEGNALA ENZO FAVOINO di Zero Waste Europe, «si potrebbero istituire dei servizi di lavaggio centralizzato, come ha fatto la Cooperativa ETABETA di Bologna con il circuito Lavanda che, fornendo i pannolini ed assicurandone il relativo lavaggio a costi comparabili con quello degli usa e getta, crea posti di lavoro e assicura sostenibilità».

Ma quanti pannolini servono? «Circa 24 per avere un buon ricambio, il consiglio è dotarsi di kit misti composti da diversi modelli», sottolinea Lavinia Capriati, mamma ed ostetrica marchigiana. E ai genitori che temono di non avere abbastanza tempo per star dietro ai pannolini lavabili, il consiglio è di provare. D’altra parte, anche un solo pannolino lavabile al giorno sono 365 rifiuti in meno in discarica. Rifiuti che per ora sono molto difficili da gestire.

Secondo l’Associazione Non solo Ciripà, infatti, «per ogni bambino nei primi 3 anni di vita vengono usati circa 6.000 pannolini – circa 1 tonnellata – realizzati con petrolio, energia e cellulosa, nonché sostanze chimiche che inquinano le acque per la produzione. Sbiancare la cellulosa degli usa e getta causa l’emissione di diossina nell’aria. I pannolini costituiscono il 20% delle discariche, con forti rischi di contaminazione. Il loro tempo di decomposizione varia dai 200 ai 500 anni. Se vengono bruciati in inceneritori immettono nell’atmosfera diossine, Idrocarburi Policiclici Aromatici e altri inquinanti.

MA COME LAVARE I PANNOLINI LAVABILI? Per ridurre ulteriormente l’impatto ambientale dei pannolini lavabili, si consigliano di fare lavatrici a pieno carico (anche con altri vestiti), generalmente a 40° usando detersivi ecologici e percarbonato (sbiancante e igienizzante naturale), mentre per ammorbidire si può usare acido citrico.
Un ulteriore accorgimento, come sottolinea il chimico Fabrizio Zago, consulente di Ecolabel e fondatore del Biodizionario, è quello di «preferire pannolini lavabili in cotone bio perché quelli in materiale sintetico rilasciano microplastiche, che dallo scarico della lavatrice finiscono poi nel mare, così come qualsiasi altro indumento in fibra sintetica».

Anche Alessandra Bonoli, professore di Ingegneria al DICAM, Università di Bologna, dopo aver condotto uno studio sulla LCA (life cycle assessment) dei vari tipi di pannolini, conferma: «I meno impattanti in termini di emissione di CO2, analizzando altri fattori di impatto ambientale, sono i pannolini lavabili. Seguiti poi da quelli compostabili».

IN COMMERCIO CI SONO IN EFFETTI TANTI pannolini monouso definiti «bio» o «eco», o «naturali» ma non tutti sono compostabili e rispondono ai requisiti della normativa europea EN 13432. Occorre verificare sempre che ci sia il certificato Cic o Ok Compost. «Attualmente – spiega ancora Enzo Favoino – il principale problema è la natura del superassorbente, che non è compostabile. Purtroppo ad oggi non abbiamo trovato pannolini che utilizzino esclusivamente materiali assorbenti di origine vegetale e che quindi siano totalmente compostabili epossano essere tranquillamente lavorati negli impianti di compostaggio».
Sicuramente per la pelle dei bambini i pannolini compostabili sono un’ alternativa migliore alla plastica.
Ma in ultima analisi, i pannolini lavabili battono tutti.