Pittore, scultore, disegnatore, autore di performance art, di famiglia ebrea, Grisha Bruskin è cresciuto in una Unione Sovietica che ha visto la morte di Stalin, l’avvicendarsi di Chrušcev e di Brežnev, poi l’inizio della perestrojka di Gorbacev.
Entrò a far parte giovanissimo dell’Unione degli artisti, ma le sue prime mostre personali, nel 1983 e 1984, vennero chiuse quasi immediatamente per ordine del partito. La svolta avvenne nel 1988: durante la prima asta moscovita di Sotheby’s, la sua opera Lessico fondamentale fu battuta a 416.000 dollari. Cominciò così la notorietà internazionale, cui seguì l’emigrazione negli Stati Uniti, dove Bruskin vive tuttora.

Imperfetto passato, pubblicato ora da Voland nella bella traduzione a cura di Alessandro Niero (pp. 448, euro 25,00) è il primo volume di una trilogia delle sue memorie, ed è costituito da una serie di prose brevi o brevissime, ciascuna preceduta da un titolo spesso ironicamente lungo.
Si presenta, in modo non dissimile dalla pittura stessa di Bruskin, come l’avvicendarsi paratattico di una serie di pannelli scritti in uno stile asciutto e lieve, dove i toni umoristici e quelli amari si mescolano, nella migliore tradizione della narrativa breve russa, e realtà e paradosso si sovrappongono pericolosamente, fino a diventare spesso indistinguibili, sfiorando l’assurdo.

L’autore ripercorre gli anni dell’infanzia, con la bambinaia Njurka, i primi amori all’asilo, l’eco della guerra mondiale, la presa di coscienza dell’identità ebraica («…Bisticciammo e lei mi diede dell’ebreo. Visto che mi ero offeso, disse: “Cos’hai da offenderti? Guarda che ebreo e cretino sono la stessa cosa.»), il mito di Stalin («Quando ero piccolo mi figuravo che, al mondo, non ci fosse un solo Dio, ma due: Lenin e Stalin»), quelli della giovinezza, gli inizi dell’attività artistica, l’incontro con la seconda moglie e «compagna di una vita» Alesja, il confronto con il potere sovietico, fino all’epoca della glasnost’, l’asta di Sotheby’s, l’arrivo negli Stati Uniti, l’inizio di una nuova vita in un occidente dove libertà equivaleva spesso a un idillio ambiguo («…il padrone di casa, con fare nobile e solenne, mise in mano a me e ai miei colleghi 30 dollari cadauno e ci condusse … nel locale paese di cuccagna: il centro commerciale».).

In una prosa accattivante si susseguono rapidamente episodi spesso caratterizzati da una pointe scherzosa, mentre la società sovietica viene vista dall’interno, con gli occhi dell’autore, e dall’esterno, con quelli dei visitatori occidentali; infine, la vita americana viene restituita dall’occhio di un russo. Al di là delle pagine del libro, l’interesse risiede nella sovrapposizione degli stessi temi fondamentali – l’identità ebraica e sovietica – tanto nelle prose quanto nelle opere d’arte di Bruskin, ma soprattutto allegoria e simbolo, quindi interpretazione e decifrazione, presiedono il lavoro dell’autore come un testo sacro.
I titoli stessi di molte opere (Lessico fondamentale, Alefbet) danno ragione della tendenza dell’artista a creare dizionari visivi, in cui figure giustapposte, in uno stile che rimanda alla pittura delle icone e alla scultura sovietica, al Talmud, alla cabbala e al folclore russo, hanno ciascuna «un significato simbolico», formano «una specie di testo, una lettera del mio alfabeto personale». Allo stesso modo il testo di Imperfetto passato forma una serie di quadri, più realistici rispetto alle opere figurative (sono tutti episodi di vita vera), ma con uno stesso potenziale simbolico.