Marco Pannella se n’è andato come aveva vissuto, fuori dalle righe, fuori da ogni schema. Ha lasciato un messaggio registrato: «Ragazzi niente tristezza. Non mollate mai. Sappiate che alla fine abbiamo vinto noi». Guardando dall’Italia delle unioni civili quella di tanti anni fa, chi potrebbe dargli torto?

Una delle ultime lettere l’ha inviata al papa, proprio lui che contro le ingerenze della Chiesa nella vita dello Stato laico si era battuto per decenni. Però c’è papa e papa, e a Bergoglio Marco ha scritto, «dalla mia stanza all’ultimo piano – vicino al cielo», come a un compagno di lotta e quasi anche di fede: «Ti scrivo per dirti che in realtà ti stavo vicino a Lesbo, quando abbracciavi la carne martoriata di quelle donne, quei bambini e quegli uomini che nessuno vuole accogliere in Europa. Questo è il Vangelo che io amo… Ti voglio bene davvero».

Migliaia di persone hanno sfilato alla camera, ieri, per salutarlo, con la cravatta rossa, la sciapa bianca e quella criniera candida come neve che lui raccoglieva nella più curata tra le code di cavallo. I vertici istituzionali c’erano tutti, il capo dello Stato in carica e quello precedente, i presidenti delle camere, le delegazioni di tutti i partiti tranne uno, il Movimento 5 stelle, e l’assenza non torna a loro onore. È sfilato anche Matteo Renzi, ha stretto la mano all’ex segretaria del partito radicale Rita Bernardini, e lei gli ha ricordato i rimproveri del leader scomparso, quando, da sindaco di Firenze, non aveva voluto firmare i referendum sulla giustizia. Ad accoglierli c’erano tutti i radicali, anche Emma Bonino, provata dalla malattia e che tuttavia è rimasta accanto alla salma per ore e ore.

Nel diluvio di messaggi che hanno celebrato il più scomodo tra gli esponenti della politica italiana, molti si sono abbandonati alla retorica, come sempre in questi casi. Qualcuno no. Come il Dalai Lama, per la cui causa, quella del popolo tibetano, Pannella si è battuto. La comunità ebraica, che nel leader radicale vedeva un grande amico di capace di restare tale anche nei momenti difficili. I detenuti di Bologna, che hanno proclamato uno sciopero della fame in suo onore. Carlo Freccero, che gli riconosce il merito di aver cambiato per sempre la televisione italiana con un solo gesto: quello di presentarsi imbavagliato.

Molte più persone lo hanno onorato in quella piazza moderna che sono i social, e lì qualcuno ha ricordato che però era liberista, chiedendosi come si fa a rimpiangere uno che era contro l’articolo 18. Perché chi vive di rancore è così, e non può farci niente. Ci sono state molte ipocrisie nella cerimonia degli addii, magari intrecciate con un dolore sincero. Quelle di chi ha rivendicato la militanza comune delle origini, dopo aver speso buona parte della vita impegnato quasi sempre su fronti opposti. Quella di chi non ha mosso un dito per rendergli l’onore che da vivo avrebbe meritato, nominandolo senatore a vita. Quella, soprattutto, di chi ha applaudito tutte le sue battaglie di ieri, glissando con poco pudore su quelle di oggi. Come la campagna per rendere civili le galere: niente e nessuno, neppure un papa a Montecitorio e l’essere riuscito come – solo Pannella poteva fare – ad arruolare Napolitano, ha potuto smuovere il dogma per cui la galera viene prima di tutto, sennò gli elettori forcaioli si risentono.
Chissà se di fronte alla salma di Pannella è sfilato anche Giovanni D’Urso, il magistrato sequestrato nel 1980 dalle Br. Per liberarlo chiedevano che un comunicato venisse letto in tv. Tutti, proprio tutti, erano pronti a sacrificarlo pur di non concedere una tale enormità. I radicali misero a disposizione il loro spazio elettorale e gli salvarono la pelle. Chissà se se ne è ricordato.

I radicali li ha formati Pannella. Hanno i loro difetti tra i quali l’ipocrisia non figura. Non la ha mandata a dire Emma Bonino: «In vita non ha mai avuto riconoscimenti adeguati». Più secco e severo lo storico direttore di Radio Radicale Massimo Bordin: «Doveva morire per ottenere un’attenzione corale». Comprensibile ma non del tutto giusto: l’attenzione che i media e i partiti di potere hanno cercato per decenni di negargli, Pannella ha sempre saputo come strapparla lo stesso. Non sempre ha vinto, ma a porre i suoi temi in testa all’agenda del Paese prima, e del Palazzo poi, ci è riuscito sempre.

Marco Pannella sarà sepolto a Teramo, ma il vero funerale «laico» sarà oggi pomeriggio a piazza Navona. Non è certo una piazza scelta a caso. È quella dove, il 13 maggio 1974, iniziarono i festeggiamenti per la vittoria nel referendum sul divorzio, la sera che più di ogni altro giorno, almeno sul fronte dei diritti civili, cambiò l’Italia e chiuse il sipario sul Paese del dopoguerra, quello che era stato laico solo di nome.