Onda di panico sulle Borse, ieri, un giovedì nero che fa seguito ai crolli di mercoledì. Wall Street ha seguito l’Europa. Il Cac 40 (Parigi) è tornato ai livelli di metà dicembre 2013 (con la sola eccezione delle azioni Air France, che hanno festeggiato l’accordo per il lancio della filiale low cost), le perdite sono dell’8,5% in un mese. In cinque sedute, il Dax tedesco è caduto del 4%, Londra ha perso il 3%, Milano è a meno 6. L’euforia dei mercati, che avevano guadagnato molto (più 40% per l’Eurostoxx dall’estate del 2012 in seguito alla frase di Draghi: “faro’ di tutto” per salvare l’euro), è ricaduta come un soufflé tolto dal forno e servito con ritardo. Gli investitori si gettano sul sicuro, i Bund tedeschi, le obbligazioni Usa a 10 anni e – sorpresa (per i censori di Bruxelles e Berlino) – persino sul debito francese. Invece, crolla la fiducia nella periferia della Ue, Grecia in testa (i tassi hanno sfiorato il 9%), ma anche Portogallo, Spagna e Italia, con aumento dello spread. Siamo tornati al 2010, è la fine della calma nel mercato del debito. La periferia paga con moneta contante i guasti dell’austerità, che adesso cominciano a colpire di rimbalzo anche la Germania: le ordinazioni industriali sono cadute del 5,7%, la produzione industriale si è ristretta del 4%, l’export – il punto “forte” su cui ha puntato Berlino – è crollato del 5,8%. Una situazione mai vista da cinque anni. Il governo tedesco dovrebbe rivedere le previsioni di crescita, ridotte all’1,25% quest’anno e il prossimo (contro +1,8% e +2% precedentemente). L’Fmi evoca la “terza recessione” nella Ue e calcola il “rischio deflazione” al 20-30%. Janet Yellen, alla testa della Fed, fa filtrare l’informazione che la crescita del tasso di sconto non sarebbe più all’ordine del giorno per la primavera, rimandata all’autunno del prossimo anno. La Bce tace, mostrando l’impotenza di fondo dell’istituzione a fare tutto da sola, se la “locomotiva” tedesca perde colpi e la politica non interviene. Del resto, la politica di acquisto del debito pubblico, peraltro approvata dal consiglio dei governatori della Bce il 6 settembre scorso, è dal 14 ottobre al vaglio della Corte di giustizia europea, in seguito a una denuncia di euroscettici tedeschi, che contestano la legalità di questa manovra e accusano Francoforte e Draghi di aver “oltrepassato le proprie competenze”.

Il Consiglio europeo della prossima settimana, che sulla carta avrebbe dovuto avere come argomento principale la preparazione del vertice di Parigi sul clima del prossimo anno, sarà molto probabilmente fagocitato dal ritorno della crisi del debito e dal braccio di ferro sul rispetto dei parametri nelle finanziarie 2015, con sette paesi, cioè più di un terzo dei 18 dell’eurozona, che sforano le regole (Francia e Italia in testa). La lotta al riscaldamento climatico non è solo simbolicamente la prima vittima del diktat dell’austerità. Nell’affanno a trovare dei tagli alla spesa pubblica, gli investimenti – e le riforme – per l’ecologia sono in testa alla lista. E’ il caso dell’Italia, ma anche della Francia. L’”eco-taxe”, che avrebbe dovuto far pagare qualcosa ai camion, è stata soppressa, di fronte alla minaccia di un blocco del paese questa settimana. Adesso il governo discute di un leggero aumento (4 centesimi al litro) per il gasolio. Mentre il ministro dell’Economia, Emmanuel Macron, per “liberalizzare” l’economia non ha pensato di meglio che proporre lo sviluppo senza vincoli del trasporto su autobus, a detrimento del treno, troppo caro per i “poveri”, che potranno spostarsi a basso prezzo, senza che il governo si preoccupi dell’inquinamento indotto.

 

 

 

 

 

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