Amaro tempismo: ieri la Commissione Europea ha sbloccato la seconda tranche di aiuti alla Turchia, tre miliardi di euro dopo i tre già consegnati due anni fa, per il mantenimento dei rifugiati siriani in territorio turco e un’effettiva esternalizzazione dei confini.

Centinaia di migliaia di tre milioni di profughi potrebbero essere trasferiti ad Afrin, dopo la sua caduta. Che Erdogan dà per imminente: ieri il presidente turco si augurava l’ingresso delle proprie truppe nel cantone curdo-siriano entro ieri sera.

«Ci siamo avvicinati ancora un po’ ad Afrin. Spero che, se dio vorrà, sarà completamente caduta per questa sera». Lo staff è subito corso ai ripari: il presidente – dicono i portavoce – si riferiva all’accerchiamento, non alla caduta.

Difatti non è successo ma Afrin non riuscirà a resistere a lungo: di fronte ha il secondo esercito della Nato. Nonostante ciò la comunità non si arrende e fa leva sull’abnegazione della difesa popolare, il sostegno di migliaia di persone arrivate dal resto del Kurdistan storico e il supporto dei civili.

Dopo essersi offerti di fare interposizione fisica contro l’occupazione, ieri affollavano le cliniche per donare il sangue, mentre tre forni distribuivano pane gratis: l’assedio turco impedisce l’arrivo di rifornimenti dal resto di Rojava mentre piovono bombe. I raid aerei colpiscono da giorni il centro della città di Afrin, verso cui sono fuggite migliaia di persone dai villaggi del distretto occupati da turchi e miliziani islamisti.

Difficile da quantificare le vittime civili (di certo ce ne sono tra i combattenti curdi e tra gli assedianti) a causa delle comunicazioni a singhiozzo con il mondo fuori: oltre all’acqua, la Turchia ha tagliato anche internet. Secondo il Consiglio per la Salute di Afrin (dati aggiornati a lunedì scorso), sono almeno 232 i civili uccisi dal 20 gennaio e 668 i feriti.

Proprio ai civili si è riferito ieri Erdogan che ha promesso di mettere a disposizione dei veicoli per l’evacuazione da corridoi individuati dalle truppe turche. I curdi escono, nella visione del presidente turco, e i profughi entrano: è qui, ad Afrin, che Ankara intende trasferire buona parte dei siriani che hanno trovato rifugio in questi anni in Turchia.

Segnando due punti in una volta sola: liberarsi del fardello per cui Bruxelles ha pagato ieri altri tre miliardi e allo stesso tempo modificare la demografia del paese vicino, creando una zona cuscinetto da gestire a proprio piacimento, come contenitore di rifugiati indesiderati e di miliziani islamisti alleati.

Nessuna voce si alza al momento da Damasco, nonostante l’invio di filo-governativi a difesa dei confini: ieri, secondo fonti di opposizione, raid turchi avrebbero ucciso almeno 20 combattenti sciiti legati ad Assad nella zona di Nbul, dove migliaia di sfollati da Afrin stanno cercando rifugio.