C’è la pandemia virale del Covid-19, che ha provocato migliaia di morti in tutto in mondo. E c’è la «pandemia sociale», che sta generando milioni di nuovi impoveriti, che hanno perso quei brandelli di lavoro precario o nero che ora non c’è più.
Ne ha parlato ieri mattina papa Francesco, durante la messa a Santa Marta. «Uno degli effetti di questa pandemia – ha detto – è che tante famiglie e persone che avevano un lavoro giornaliero o un lavoro in nero non possono lavorare e non hanno da mangiare. Sono nel bisogno, fanno la fame e purtroppo vengono “aiutate” dagli usurai, che gli prendono il poco che hanno».

Una realtà evidente a chi è impegnato sul campo: le grandi organizzazioni di assistenza e di solidarietà sociale, che vedono aumentare quotidianamente il numero di chi si rivolge a loro per un pacco viveri o il pagamento di una bolletta; ma anche i tantissimi gruppi di mutuo appoggio che sono sorti spontaneamente dal basso in molte città e paesi, soprattutto nei quartieri di periferia dove le conseguenze della crisi si manifestano con più forza, e che sostengono chi è rimasto indietro con distribuzioni di generi alimentari, acquistati con l’autofinanziamento, donati dagli abitanti di quegli stessi quartieri in una spontanea solidarietà di prossimità, messi a disposizione da qualche produttore locale.

«Rileviamo una crescita dell’afflusso di persone nelle nostre strutture e nei centri di ascolto che oscilla fra il 20 e il 50% in più», spiega don Andrea La Regina, di Caritas italiana. «Si tratta di persone mai viste prima, perché prima ce la facevano, ora non più: anziani con la pensione minima che non riescono ad arrivare nemmeno alla terza settimana perché la rete familiare o amicale che prima li sosteneva si è diradata; giovani e meno giovani, italiani e stranieri, che avevano impieghi precari o lavoravano in nero e ora non lavorano più. Insomma tutti coloro che si trovano senza protezione e che chiedono un aiuto per mangiare, ma anche per pagare una bolletta o una mensilità dell’affitto. Le fasce sociali che già prima vivevano al limite e che ora sono state ricacciate ancora più indietro rischiano di diventare invisibili».

Una tendenza verso il basso confermata anche dalla Comunità di Sant’Egidio. «Nella prima fase dell’epidemia non ce ne eravamo ben resi conto, perché si rivolgevano a noi le persone che già conoscevamo. Il problema nuovo era soprattutto quello di spiegare ai senza fissa dimora “storici” quello che stava accadendo, dal momento che era scomparsa la loro rete di sostegno informale, dal passante abituale che li aiutava, al bar o al ristorante che offriva loro un panino o un piatto di pasta», spiega Roberto Zuccolini, portavoce di Sant’Egidio. Poi però le cose sono cambiate: «Fra fine marzo e inizio aprile hanno cominciato a farsi avanti molte persone nuove, soprattutto dalle periferie. Per il primo mese, grazie a qualche risparmio, ce l’hanno fatta. Poi però hanno iniziato ad avere difficoltà, per il cantiere fermo, per il locale chiuso, per le consegne a domicilio ridotte, per il lavoro a giornata che non c’era più. Parecchi di loro stanno usufruendo anche di qualche ammortizzatore sociale messo in campo dal governo e dai comuni, ma intanto il tempo passa e devono arrivare a fine giornata».

Sul piano più politico, Sant’Egidio – per mezzo del suo fondatore, Andrea Riccardi – propone una regolarizzazione allargata di lavoratori agricoli, ma anche di badanti, colf e babysitter, molto spesso lavoratrici e lavoratori stranieri sommersi. E la Caritas sostiene, insieme al Forum Disuguaglianze Diversità, un piano per la protezione sociale universale contro la crisi. «Non vogliamo entrare nel merito delle singole proposte, ma lanciamo al governo un grido di allarme sulla gravità della situazione: bisogna intervenire in modo concreto e strutturato, affinché milioni di persone non sprofondino nell’esclusione sociale», dice La Regina. Un elemento positivo di questa situazione? «L’aumento dei volontari e di chi si è messo a disposizione», nota Zuccolini.