Trattative estenuanti e discussioni interminabili, videoconferenze e negoziazioni. Senza che Governo e Regioni siano riusciti a trovare un accordo. La non-decisione sul nuovo Dpcm, rinviata nel fine settimana, è il segno della volontà dei diversi livelli di Governo di non voler pagare il costo politico della scelta. Un costo insostenibile in un ambiente politico iper-conflittuale e privo di coesione istituzionale, dove tutti aspettano che sia l’altro a fare la prima mossa, dichiarando senza se e senza ma: dobbiamo chiudere. In questo modo la situazione non potrà che peggiorare, fino a rendere tanto più drastiche, lunghe e intransigenti le nuove misure che dovranno essere decise e attuate.

ANZI, SI POTREBBE sostenere, il costo politico sarà tanto minore quanto più il quadro pandemico e il sovraccarico sul sistema sanitario non potranno che indicare un lockdown, più o meno parziale, come unica possibile scelta. Un insieme di misure a livello nazionale generate dall’assenza di qualsiasi spirito unitario. Una scelta che riguarderà tutta la collettività proprio perché questa o, meglio, le forze che la rappresentano, è incapace di pensare e agire in modo organico anche di fronte a una pandemia. Il nemico esterno non è sufficiente per unire una collettività ridotta a un assemblaggio di poteri e livelli di governo che corrono una disperata e solitaria gara. Scaricando il costo delle scelte sull’altro e additandolo come il colpevole delle decisioni prese. Questo in un’arena politica dove le forze di opposizione sono pronte a utilizzare ogni possibile evento, scivolone, incertezza, per attaccare frontalmente la maggioranza. Il rifiuto di entrare nella «cabina di regia» ne è la prova plastica: la tenuta del Paese è questione che riguarda il Governo, l’opposizione ha solo il compito di approfittare delle conseguenze della scelta, soffiando sul fuoco e cavalcando, se non organizzando, la protesta di piazza. Debolezza della politica, certo, ma non surrogata dalle forze sociali che, con ben poche eccezioni, si posizionano sullo scacchiere solo per chiedere risorse e salvaguardie per i propri iscritti, ben attente a non concedere nulla a misure che potrebbero intaccare il loro campo di influenza o che le metterebbero di fronte alla necessità di innovare la loro stanca azione. Politica e società miseramente frammentate e divise, incapaci di visione collettiva. Prive di qualsiasi capacità di futuro.

IL SAPERE ESPERTO, in un ambiente tanto conflittuale e frammentato, non può innocentemente identificarsi con le regole della scienza. Non può essere percepito, semmai ciò fosse veramente possibile, come consigliere esperto in posizione di terzietà rispetto ai contendenti. La voce della scienza è così interpretata come la voce di una delle parti in gioco nel conflitto politico e istituzionale. Chi ha l’ha capito non attende di essere classificato come pro o contro il Governo, ma sceglie sin da subito da che parte stare. Così anche il campo scientifico, mai veramente immune alla tentazione del posizionamento politico, diventa teatro di scontri, guerre e accuse, che ne sminuiscono l’autorevolezza agli occhi dell’opinione pubblica. I giornali, in questo contesto, nuotano nell’acqua che più gli è familiare: la polemica politica come principale guida e criterio per la costruzione della notizia.
La pandemia Covid-19 è così lo specchio del Paese, fredda superficie che riflette senza filtri la frammentazione della sua classe dirigente, l’inconsistenza dei suoi corpi intermedi, la pochezza dei suoi mezzi di comunicazione di massa. La ricerca del capro espiatorio – i giovani irresponsabili, gli anziani fragili, i dipendenti pubblici che «vogliono il lockdown» perché così lavorano meno, le mamme che vogliono le scuole aperte – è nulla più che la conseguenza della guerra di tutti contro tutti.

PEGGIO DELLA PANDEMIA è solo la reazione che ne è seguita. Sintomo di una comunità politica priva di consistenza, saltuariamente illuminata da poche voci autorevoli ma isolate, tenuta assieme da organizzazioni della cittadinanza attiva che tentato di soccorrere i più fragili, nobilitata da chi sceglie la via dell’impegno quotidiano, nel pubblico come nel privato, a ridosso dei bisogni di individui e famiglie. Risorse preziose ma non inesauribili che, presto o tardi, si depaupereranno lasciando spazio alla rabbia e al risentimento. Gli imprenditori della paura non aspettano altro.