Vista la incondivisibile frase, si poteva pensare che Barbara Palombelli, nella puntata di Forum del 16 settembre intitolata «Le violenze sporadiche», non fosse del tutto consapevole di quel che diceva. Oppure voleva dire una cosa e gliene è scappata un’altra perché, anche se fai la giornalista e la televisione da decenni, può capitare il giorno in cui non ti viene il concetto calzante. Qui, tuttavia, non siamo di fronte a un cortocircuito dei neuroni, ma a una vera e propria voragine della conoscenza. Leggiadra nel tubino nero, Palombelli ha detto: «Oggi parliamo di rabbia fra marito e moglie. Come sapete, negli ultimi sette giorni ci sono state sette donne uccise presumibilmente da sette uomini.

A volte però è lecito anche domandarsi, questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati, oppure c’è stato anche un comportamento esasperante, aggressivo anche dall’altra parte? È una domanda e dobbiamo farcela per forza perché dobbiamo, in questa sede, soprattutto in un tribunale, esaminare tutte le ipotesi».
Forum è una trasmissione che fa delle liti familiari valutate da un giudice finto, nel senso che ciò che decide non ha effetto reale, uno spettacolo molto seguito. Chi ha avuto la pazienza di guardare tutta la puntata incriminata potrà accorgersi che le scuse di Palombelli di non essersi bene espressa non la assolvono, anzi.
Due coniugi separati e senza figli litigano perché lei vorrebbe l’assegnazione della dimora coniugale e un assegno di mantenimento, lui no. Mentre la moglie, non si sa se autentica o figurante, è petulante e molesta per tono di voce, interruzioni, motivazioni, l’uomo appare come un orsacchiotto perseguitato.
È evidente che si è voluto presentare quella situazione in quel modo, con un sottotesto palesemente di parte che spinge lo spettatore a pensare che lei è odiosa e lui un bastonato.
Nella vita reale coppie così esistono, come esiste il loro contrario. Ma nella trasmissione c’è un peccato mortale, quindi imperdonabile, ed è quello di infilare nella premessa di una sceneggiata così costruita l’esempio dei femminicidi. È come suggerire agli spettatori che se una donna viene ammazzata da un uomo (spesso marito, convivente, ex o parente) se l’è cercata perché lo ha portato all’esasperazione con il suo comportamento. È come far sfrigolare fra le righe che non tutti i maschi che ammazzano donne sono violenti, ma possono esserci portati da compagne insopportabili: è  come sdoganare il pensiero che sia in fondo comprensibile se uno arriva a menare le mani, e magari qualcos’altro.

Chi si batte ogni giorno contro la violenza sulle donne sa da quale tenace oppressione quotidiana sono perseguitate, conosce il terrore di coricarsi o pasteggiare accanto al proprio picchiatore, la decostruzione sistematica dell’autostima, il senso di paura ogni volta che lui torna a casa, il delirio di potere che lo abita, il ricatto affettivo e quello economico soprattutto se ci sono figli.
Io sono convinta che Palombelli davvero detesti la violenza sulle donne, ma allora il suo problema, e forse anche quello degli autori, è un altro, anzi due: il linguaggio e la conoscenza reale di quella violenza. Quando si occupano certi ruoli e si ha visibilità mediatica non basta alzare una bandierina per dire che si è contro. Per non sbagliare le parole, e la loro connessione con i concetti, ogni tanto bisognerebbe studiare e andare a vedere che cosa succede davvero là dove le cose succedono davvero.
Post scriptum. Un uomo che ammazza una donna non è obnubilato o in preda a un raptus. È violento nel suo modo di essere.
mariangela.mianiti@gmail.com