L’hanno decapitato e poi hanno appeso il corpo a un palo della luce, nel centro di Tadmor. In alto, le mani legate. In basso, fra i piedi hanno posto la testa, il pegno alla crudeltà.

Lui era lo studioso siriano Khaled As’ad e per mezzo secolo aveva diretto l’area archeologica e il museo di Palmira, la città cosmopolita, crocevia di carovane del deserto ma soprattutto di popoli e culture. Gli esecutori del delitto sono jihadisti dello Stato Islamico, che dal 23 maggio scorso occupano il sito, patrimonio Unesco fin dal 1980, tenendo col fiato sospeso il mondo intero. La morte di As’ad è stata annunciata il 18 agosto da Maamoun Abdulkarim, direttore delle Antichità e dei musei siriani, il quale era stato informato dai famigliari della vittima. La notizia è stata confermata il giorno successivo dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani, che fa sapere tramite un comunicato che «As’ad è stato decapitato in una piazza di Palmira davanti a decine di persone».

Alcuni media stranieri e italiani – fra cui La Repubblica – riferiscono che il corpo dell’archeologo pendeva da una colonna tra le rovine ellenistico-romane. Una narrazione che, pur nell’orrore, vorrebbe consegnare la morte di As’ad al grembo della civiltà. Tale immagine è però falsa, così come paiono inattendibili le voci secondo le quali lo studioso ormai in pensione, sarebbe stato imprigionato e torturato allo scopo di confessare il «nascondiglio» di centinaia di statue, gli idoli aborriti dall’Isis, che in Siria e in Iraq hanno già subito più volte la furia iconoclastica degli uomini del Califfo.

A rivelare le ragioni del crimine sono gli stessi jihadisti, che in un crescendo di violenza, fanno macabro sfoggio delle loro «tattiche» di guerra. In un cartello bianco, scritto con inchiostro rosso e posto sul capo senza vita di As’ad, campeggia infatti la sentenza.

Gli assassini dello Stato Islamico marchiano l’ottantaduenne studioso come «l’Apostata» e dettagliano in un arabo sgrammaticato i motivi dell’impietosa condanna. As’ad, considerato sostenitore del regime Nusayri (nome con cui vengono definiti talvolta gli Alawiti e dunque il presidente siriano al-Assad), è accusato nell’ordine: di aver rappresentato la Siria in conferenze blasfeme; di esser stato il Direttore degli antichi idoli di Palmira; di aver visitato l’Iran e di aver partecipato alle celebrazioni per la vittoria della rivoluzione khomeinista; di aver comunicato con suo fratello – il Generale Issa – capo di un settore dei servizi siriani; di aver intrattenuto relazioni con il Generale Hossam Sukkar della Guardia Presidenziale.

Il profilo scientifico internazionale di As’ad, che nel corso della sua lunga e apprezzabile carriera aveva collaborato con missioni archeologiche francesi, americane, tedesche e svizzere e il suo incarico di direttore delle Antichità, benché citati all’inizio del documento, non paiono essere le ragioni fondamentali della sua esecuzione. Si tratta senza dubbio di un omicidio anche politico, un messaggio in stile nazista mirato forse – attraverso l’esposizione del corpo – ad avvertire i nemici del Califfato sulle possibili conseguenze di una non-sudditanza ai loro dettami.

Lo scorso luglio l’Isis ha diffuso il video di un’esecuzione di gruppo – venticinque soldati inginocchiati, abbattuti con un colpo di fucile alla nuca da alcuni ragazzini – svoltasi nel teatro antico di Palmira, inaugurando una nuova forma di distruzione del patrimonio, quella della memoria immateriale dell’arte che ogni monumento porta con sé.

Oggi, con l’uccisione di Khaled As’ad, un uomo che viene descritto da studenti e colleghi come aperto alla conoscenza e al dialogo, abbiamo capito che non sono solo i volti serafici delle divinità mesopotamiche o le loro grandi ali-ponte tra passato e presente a spaventare l’Isis. Siamo oltre una guerra all’Occidente e a uno sfregio delle culture estranee all’Islam.

Gli occhiali ancora sul naso sulla testa mozzata di As’ad – attraverso le cui lenti avrà scrutato da vicino la bellezza di centinaia di reperti – ci insegnano che non c’è più un Orizzonte comune a cui guardare. Ricostruirne uno, sarebbe ora compito della comunità internazionale.