Poco tempo fa al teatro Vascello è andato in scena In pieno nel mondo Palma Bucarelli con Marilù Prati dedicato a Renato Nicolini e Carlo Argan. Non era facile misurarsi con un personaggio come Palma Bucarelli, senza cadere in becere e superficiali imitazioni di un modello unico ed irraggiungibile, e Marilù Prati, con la complice regia di Fabio Massimo Iaquone e l’adattamento drammaturgico di Francesco Suriano, ha percorso una strada coraggiosa e cauta nello stesso tempo, cogliendo lo stile della Bucarelli, in una messa in scena quasi astratta, fatta di immagini realizzate da Iaquone e Attili che curano anche gli interventi sonori, che animano lo spazio geometrico, da galleria, in cui si muove con ieratica eleganza, indossando di volta in volta i bei costumi realizzati per l’occasione dall’Accademia del costume & Moda, che riproducono fedelmente gli originali, e ricostruisce il filo della storia di questa incredibile protagonista della cultura del novecento attraverso le sue stesse parole, con rispetto, senza mai sforare la giusta distanza tra se stessa e Palma, evitando con cura eccessi di teatralizzazione, elegantemente, sottilmente ironica e distaccata.

Lo spettacolo inizia con Palma-Marilù che recita la lunga serie di soprannomi e aspre critiche, tramutatesi addirittura in interrogazioni parlamentari, subite dopo l’esposizione del «Grande sacco» di Alberto Burri nel 1959, e, di nuovo, dopo quella della «Merda d’artista» di Piero Manzoni nel 1971 che costò alla Bucarelli un memorabile processo. Non era facile in quegli anni essere attaccata in egual misura da democristiani, liberali e comunisti, tutti schierati in difesa del figurativo e della tradizione, eppure questa geniale signora ci riuscì, senza peraltro mai recedere dalle proprie convinzioni, difendendo strenuamente le proprie lungimiranti scelte.

Resuscitò il patrimonio artistico italiano, e inserì la GNAM tra le migliori gallerie d’arte moderna d’Europa e conquistò la stima dell’America. «L’amazzone dell’astrattismo», «la direttrice dei barattoli», «il terno a letto», «Palmina degli stracci», «Palma e sangue freddo» funzionaria dello stato accusata di comunismo o fascismo, a seconda dei casi : «nel 1959 esposi nella Galleria Nazionale d’Arte Moderna il Grande Sacco di Burri che speravo di poter acquistare e fu il finimondo, sulla stampa di destra e di sinistra e perfino in Parlamento, dove autorevolmente si chiese che delle due l’una: se non acquistata quella «indegna sozzura» fosse rimandata al suo sciagurato autore, o, se malauguratamente acquistata, fosse senza indugio buttata nella spazzatura.

Uno scandalo, insomma; in tutto simile a quello che scoppiò più tardi, nel 1971, per le scatolette di Manzoni e di cui si ride ancora, anche fuori dall’Italia, con poco vantaggio del prestigio del Parlamento italiano» . Nonostante i grandi amori, l’inviato del corriere della sera Paolo Monelli primo tra tutti, Palma non si sposò non ebbe figli e visse a lungo all’interno dell’amata galleria: «era come se la Galleria fosse diventata un organo del mio corpo. La Galleria era l’involucro necessario e indispensabile del mio corpo, come un tempio per una dea, il mio corpo di donna era il tramite attraverso cui si mostrava la mia autorevolezza culturale e morale a partire da questo luogo. Volevo essere Caterina di Russia».