Siamo di fronte al periodico, quasi rituale, allarme sul “crollo imminente” dell’Autorità nazionale palestinese oppure a una situazione concreta di dissolvimento dell’entità amministrativa nata nel 1994 dagli Accordi di Oslo che controlla, è bene ricordarlo, appena il 15% della Cisgiordania. La questione si è riproposta in questi giorni, segnati da altri morti e feriti nei Territori occupati. Giovedì quattro palestinesi sono stati uccisi. Avrebbero tentato di pugnalare alcuni militari ma foto che girano in rete sembrano smentire, almeno in un caso, questa versione perchè uno degli uccisi appare a terra prima disarmato e poi con un coltello in mano. A scuotere le fondamenta dell’Anp sono i sussulti causati dall’Intifada dei giovani contro l’occupazione – circa 140 i morti palestinesi, oltre 20 quelli israeliani – uniti alla frustrazione della popolazione palestinese nei confronti della cooperazione di sicurezza con Israele. Senza dimenticare che il costo della vita e la disoccupazione penalizzano un numero crescente di giovani e le loro famiglie. Anche il governo di Hamas a Gaza sta affrontando un significativo calo di consenso a conferma della crisi che attanaglia nel suo complesso la leadership politica palestinese. Peraltro a Gaza, come accade in Cisgiordania, il dissenso è sempre meno tollerato. Lo dimostra l’arresto nei giorni scorsi del giornalista Ayman Alloul (per alcuni post su Facebook) e del giovane attivista Ramzi Herz Allah.

 

A lanciare l’allarme sulla stabilità dell’Anp è stato il primo ministro israeliano Netanyahu, colui che non poco ha fatto in questi anni per indebolire e delegittimare l’Anp e il suo presidente Abu Mazen sul terreno e sulla scena internazionale. Lunedì scorso Netanyahu ha detto che Israele deve prepararsi alla possibilità di un crollo dell’Autorità nazionale palestinese. «Dobbiamo evitare, se possibile, il collasso dell’Anp ma, allo stesso tempo, prepararci nel caso che accada», ha detto, secondo due alti funzionari citati dalla stampa israeliana. Negli ultimi 10 giorni, sempre secondo i media locali, il gabinetto di sicurezza israeliano, sulla base di informazioni di intelligence, avrebbe tenuto più di una riunione sulla stabilità dell’Anp. E sono circolare voci di un Abu Mazen gravemente ammalato. L’altra sera il presidente palestinese è intervenuto in diretta tv per smentire la fragilità dell’Anp e la sua salute precaria. Ha quindi annunciato che l’Olp, mercoledì prossimo, deciderà se continuare la cooperazione di sicurezza con Israele.

 

Questa uscita pubblica non ha placato le indiscrezioni, anzi ha contribuito ad alimentare tra i palestinesi il dibattito sul ruolo e il peso di un presidente che ha concluso nel 2009 il suo mandato e che resta al potere, sull’assenza di prospettive di nuove elezioni legislative e presidenziali (le ultime furono dieci anni fa), sulla successione e sulla frattura tra Anp e Hamas che limita le possibilità di elaborare una piattaforma politica unitaria da opporre all’occupazione e alle politiche di Israele. Temi che si aggiungono al malcontento per il ruolo dei servizi di sicurezza dell’Anp volto ad impedire una adesione popolare e massiccia all’Intifada che si è manifestata, almeno sino ad oggi, quasi sempre con atti individuali. Abu Mazen denuncia le politiche di Israele ma si oppone a una “Intifada diffusa”. Teme le reazioni del governo Netanyahu e l’opportunità che l’insurrezione potrebbe offrire ad Hamas di entrare da protagonista anche sulla scena cisgiordana dove già gode di un significativo sostegno sotterraneo.

 

«Ci sono due spiegazioni a questa improvvisa preoccupazione, se così vogliamo definirla, di Israele per le sorti dell’Anp e di Abu Mazen», dice al manifesto l’analista Ghassan al Khatib, docente all’università di Bir Zeit «si tratta prima di tutto di un ammonimento. Netanyahu, che segue con rabbia le iniziative di Abu Mazen all’Onu e in campo internazionale, fa capire che Israele è pronto a intervenire, in ogni forma, In seconda battuta è possibile che i suoi servizi segreti guardino con timore all’indebolimento dell’Anp e, di conseguenza, alla fine della cooperazione di sicurezza. Non dimentichiamo che il crollo dell’Anp vorrebbe dire per Israele anche un impegno diretto economico e amministrativo nei confronti di milioni di palestinesi sotto occupazione». Secondo al Khatib l’Anp non è più fragile di qualche mese fa ma la sua esistenza oggi più di prima è legata alla presenza di Abu Mazen. «Dovesse venire a mancare all’improvviso, per qualsiasi motivo, il suo presidente, al quale non pochi palestinesi riconoscono ancora legittimità, emergerà a mio avviso la precarietà dell’Anp – prevede l’analista – perchè tutti sanno che non ci saranno elezioni presidenziali, a causa della frattura tra Anp e Hamas e dell’impossibilità di riunire il Parlamento. La successione potrebbe trasformarsi in una agguerrita lotta per il potere tra persone non elette che getterebbe nel caos l’Anp e la Cisgiordania».