Anat Roth fino a qualche anno fa si dichiarava una “colomba”. Poi per lei, come per tanti, è arrivata la svolta a destra e ben presto è finita nei ranghi di “Casa Ebraica”, Bayit Yehudi, il partito del ministro ultranazionalista dell’economia Naftali Bennett. Candidata alle legislative del 17 marzo, Roth, l’altro giorno, in occasione della festività ebraica del Purim, ha scelto un travestimento agghiacciante. Una foto la mostra in ginocchio e con una tuta di colore arancione come gli ostaggi dell’Isis. Alle spalle una donna travestita da palestinese, con una kufiyeh a scacchi bianca e rossa, ostenta lungo coltello. Sotto l’immagine la scritta «Ecco cosa avremo senza una grande Casa Ebraica». Alcuni hanno condannato, altri invece hanno approvato con calore quella messa in scena raccapricciante.

 

E’ questo solo un esempio della campagna elettorale che la destra israeliana sta portando avanti, dal Likud del premier Netanyahu a Bayit Yehudi fino a Israel Beitenu del ministro degli esteri Lieberman. Un’offensiva mediatica che accostando i palestinesi ai tagliagole dello Stato Islamico, punta a generare panico tra gli israeliani e avverte che se dal voto del 17 marzo non uscirà un governo di destra, forte, in grado di garantire la sicurezza, Israele rischierà grosso. Vincere le elezioni puntando sulla paura. Netanyahu martedì al Congresso degli Stati Uniti ha annunciato scenari apocalittici per Israele se sarà raggiunto un accordo sul programma nucleare iraniano. L’abilità oratoria messa in mostra in terra americana e l’immagine di Mr Sicurezza che sfida Barack Obama, hanno dato al primo ministro lo slancio per tentare di vincere le elezioni dopo che per settimane i sondaggi hanno posizionato il suo partito, il Likud, dietro Schieramento Sionista, la lista centrista guidata dal laburista Isaac Herzog e dalla ex ministra Tzipi Livni. Un sondaggio della tv Canale 10 due giorni fa dava il Likud a 23 seggi (sui complessivi 120 della Knesset), due in più rispetto al rilevamento precedente. Fermi, anche loro a 23 seggi, i rivali di Schieramento Sionista.

 

In questo clima, l’attentato compiuto ieri a Gerusalemme da un palestinese che si è lanciato con la sua automobile contro una fermata del tram ferendo cinque soldatesse – l’uomo è stato poi colpito da una guardia di sicurezza e arrestato – finisce indirettamente per avvantaggiare la strategia elettorale della destra. Per i nazionalisti israeliani più accesi l’accaduto non sarebbe, come spiegano i palestinesi, una reazione a decenni di occupazione militare e alla negazione di diritti fondamentali, piuttosto è la prova della costante minaccia terroristica che graverebbe sul Paese. Da qui la necessità di riavere al governo una coalizione dal pugno di ferro. Usato in modo strumentale è anche il voto, giovedì sera, del Consiglio Centrale del’Olp che chiede la fine della cooperazione di sicurezza tra l’Anp e Israele. Si tratta di una “raccomandazione” e tutti sanno che il presidente Abu Mazen non sospenderà anche questa volta il coordinamento con i servizi di sicurezza israeliani. Per la destra invece quella decisione sarebbe il primo passo verso una nuova Intifada palestinese e la presa del potere di Hamas anche in Cisgiordania, insomma una “catastrofe”.

 

La strategia della paura sta dando i suoi frutti. Tuttavia mancano ancora 10 giorni al voto e gli analisti prevedono che la protesta dei tanti israeliani in difficoltà economica, che non possono permettersi di comprare o solo di prendere in affitto una casa, farà tremare le ambizioni di Netanyahu. Al rientro mercoledì a Tel Aviv, il premier ha trovato ad attenderlo in Via Rothschild un nuovo accampamento di indignados senza casa. «Non posso permettermi un’abitazione, vivo da squatter – ci raccontava un cinquantenne, Yoav Kaminer – chiedo solo un tetto e il rispetto per la mia storia personale, sono stato un soldato per cinque anni e ho combattuto per questo paese, oggi non mi riconosco più in Israele». La casa resta uno problemi principali per gli israeliani, a quattro anni di distanza dalle manifestazioni che videro scendere in strada a Tel Aviv centinaia di migliaia di indignados a reclamare una nuova politica economica. Netanyahu in questi anni ha costruito case, ma non in Israele. Le ha fatte sorgere soprattutto nelle colonie ebraiche nei Territori palestinesi occupati. Se riconfermato dal voto del 17 marzo, il governo di destra conta di costruire 279 mila nuovi alloggi, 63 mila dei quali però ancora per i coloni (48mila in Cisgiordania e 15mila a Gerusalemme Est). Non pochi israeliani ora chiedono un primo ministro più attento ai problemi sociali e meno alle colonie, al nucleare iraniano e via dicendo, ci spiega Baruch Cohen, anch’egli accampato in via Rothschild. «Una vita dignitosa per tutti deve essere il vero tema della campagna elettorale e non l’Iran, Hezbollah o se Netanyahu se va o non va a parlare al Congresso. Dobbiamo concentrarci su chi non ha una casa».