L’Israel news feed, un’agenzia israeliana di breaking news per i cellulari, ieri ha liquidato la morte di Wissam Faraj, 20 anni, con poche parole: «Ucciso un terrorista arabo». I palestinesi, mai come in questi giorni, sono tutti terroristi, tutti potenziali nemici. Poco importa che il giovane ucciso ieri non avesse in mano armi o coltelli. Le pietre ormai sono considerate dalla legge israeliana un’arma tra le più pericolose. Così le dozzine di agenti dei reparti speciali della polizia entrati nel campo profughi di Shuaffat, ai margini di Gerusalemme Est, non hanno esitato a sparare contro le decine di giovani che urlavano e scagliavano sassi. Per Wissam Faraj la morte è stata quasi istantanea. Altri sei palestinesi sono stati feriti da proiettili veri, 35 da pallottole rivestite di gomma. I poliziotti hanno poi fatto irruzione nell’abitazione della famiglia del 19enne Subhi Abu Khalifa che qualche ora prima aveva accoltellato e ferito gravemente un ebreo ortodosso ad una fermata del tram a Gerusalemme. Secondo i nuovi provvedimenti, ribaditi ieri sera dal ministro della sicurezza Gilad Erdan, quella casa sarà demolita subito. La scorsa notte Shuaffat e altre zone periferiche della Gerusalemme palestinese sono state un campo di battaglia tra giovani e poliziotti israeliani.

Le notizie ieri arrivavano senza sosta, da ogni punto di Israele e della Cisgiordania. Sette gli israeliani feriti. I più gravi sono l’ebreo ortodosso pugnalato da Subhi Abu Khalifa (ferito a colpi di pistola da una guardia di sicurezza), e una soldatessa accoltellata in pieno centro a Tel Aviv da un altro palestinese successivamente ucciso dalla polizia. Un colono israeliano è stato accoltellato a Kiryat Arba (Hebron), in serata un soldato è stato ferito ad Afula, nella bassa Galilea, e un altro israeliano a Nahariya. Sul lato palestinese oltre all’uccisione di Wissam Faraj, decine di manifestanti sono rimasti feriti o intossicati dai lacrimogeni in nuovi scontri con i soldati israeliani a Beit El, a nord est di Ramallah, dove mercoledì i militari erano intervenuti con agenti infiltrati per arrestare alcuni dimostranti, aggrediti brutalmente. L’esercito israeliano ha anche spruzzato in tutta la zona acque putride, puzzolenti, sperando inutilmente di fermare i dimostranti. Scontri sono avvenuti anche a Betlemme, Budrus (Ramallah), Qalqiliya, Hebron, alla periferia di Gerusalemme e anche in alcuni centri arabi in Galilea. Non sono mancati nuovi raid dei coloni israeliani. Due auto palestinesi sono state bersagliate dalle pietre al passaggio accanto all’insediamento di Yizhar in Cisgiordania. Tre i feriti, tra cui un bambino di nove anni in condizioni gravi. E oggi sarà “Giornata di collera” a Gerusalemme e in Cisgiordania.

È inutile continuare a domandarsi se siamo di fronte alla terza Intifada o a una “ondata” destinata a passare. Siamo di fronte a una insurrezione palestinese. Nessuno sa quanto durerà e come si svilupperà. Sulla sua natura, sulle sue forme anche violente viste in questi giorni la discussione è aperta tra gli stessi palestinesi. È una sollevazione in gran parte spontanea e slegata dalle forze politiche, anche se Hamas vorrebbe attribuirsene la parternità. È una insurrezione contro l’occupazione, le violazioni della Spianata delle moschee di Gerusalemme, i coloni israeliani che dettano legge in Cisgiordania e nei confronti di negoziati che in 22 anni non hanno portato da nessuna parte. Dopo quasi un quarto di secolo dalla firma degli Accordi di Oslo, Israele mantiene un controllo stretto sui Territori palestinesi occupati nel 1967 e una buona parte delle forze politiche che fanno parte dell’attuale esecutivo sono dichiaratamente contrarie alla realizzazione dei diritti dei palestinesi.

Per il premier israeliano Netanyahu quella che si vede nelle strade non è una insurrezione contro l’occupazione ma solo una ondata di “terrorismo” palestinese contro gli ebrei che Israele domerà. Durante la conferenza stampa tenuta ieri sera assieme ai vertici della difesa e della sicurezza, Netanyahu ha detto che la responsabilità è dell’incitamento che giunge da varie parti, da alcuni Paesi della regione, dal “terrorismo islamico” e anche dall’Anp e dal