«L’autopsia non ha riscontrato violenze sul corpo dell’autista Yusef Ramouni, significa che si è trattato di un suicidio», ha detto il portavoce della polizia israeliana mentre il tramonto poneva fine ad un’altra giornata di tensione e scontri a Gerusalemme Est. A Tur, sul Monte degli Ulivi dove Ramouni, 32 anni, viveva con la sua famiglia, ad Abu Dis e nel resto della zona araba della città nessuno crede alla versione ufficiale. I palestinesi, anche l’Anp di Abu Mazen e il movimento islamico Hamas, ripetono che l’autista, ritrovato impiccato in un autobus della compagnia israeliana Egged nella notte tra domenica e lunedì, è stato assassinato da estremisti israeliani. «Uccidendo Yusef si sono vendicati degli attacchi compiuti da palestinesi con le automobili (delle scorse settimane, che hanno fatto alcune vittime, ndr)», ci dice Munir, un manovale. «Conoscevo Yusef – aggiunge – era un tipo tranquillo, aveva un lavoro pagato bene, moglie e figli, perchè avrebbe dovuto suicidarsi?».

 

E’ quanto ripete anche la famiglia ai giornalisti che bussano alla porta di casa. Osama, uno dei fratelli dell’autista, insiste sulla tesi dell’assassinio: «Yusef non era depresso, nessuno di noi aveva notato qualcosa di strano nel suo comportamento in questi ultimi giorni. Non si è suicidato, lo hanno ammazzato». Osama sottolinea che il fratello era stato già aggredito da estremisti israeliani la scorsa estate, dopo l’assassinio a Gerusalemme dell’adolescente palestinese Mohammed Abu Khdeir, dopo il ritrovamento dei corpi di tre giovani ebrei uccisi in Cisgiordania. Ieri gli autisti palestinesi della Egged hanno indetto uno sciopero di tre giorni in segno di protesta. Nel centro di Gerusalemme Est molti negozi sono rimasti chiusi.

 

In serata mentre l’oscurità metteva fine a questa nuova giornata di tensione nella città santa, il Consiglio dei ministri degli esteri dell’Ue riuniti a Bruxelles comunicava che l’Europa «deplora profondamente e si oppone con fermezza agli espropri di terre (palestinesi) vicino a Betlemme» e agli annunci di nuove costruzioni negli insediamenti colonici israeliani. I 28 ministri, nel comunicato, chiedono a Israele di bloccare i progetti di espansione delle colonie perchè sono «contro il diritto internazionale e minacciano la soluzione dei due Stati». I ministri osservano che «le recenti attività di insediamento a Gerusalemme Est compromettono seriamente la possibilità che Gerusalemme possa essere la futura capitale di entrambi gli Stati», Israele e Palestina. E’ questo il punto più importante del comunicato finale, poichè i 28 riaffermano di non considerare Gerusalemme indivisibile e capitale di Israele. Una linea respinta dal capo della diplomazia israeliana Lieberman che, incontrando domenica a Gerusalemme il suo omologo tedesco Frank Walter Steinmeier, aveva respinto la definizione di “colonie” per le attività di costruzione in quelli che il ministro degli esteri ha descritto come i quartieri ebraici di Gerusalemme est.

 

L’Ue peraltro avverte che sta «monitorando strettamente la situazione e le sue implicazioni più ampie», e aggiunge di essere pronta «a prendere ulteriori azioni per proteggere la fattibilità della soluzione dei due Stati». L’avvertimento è ancora vago ma conferma parte delle indiscrezioni pubblicate negli ultimi giorni dal quotidiano Haaretz sulla possibilità che l’Ue possa adottare sanzioni concrete contro Israele, incluso il richiamo degli ambasciatori a Tel Aviv. Il monito in particolare è contenuto nella bozza di un documento confidenziale inviato dall’Ue ai 28 stati membri. Sembra dunque profilarsi un braccio di ferro tra le due parti. E’ arduo però credere che una Unione con 28 diverse politiche estere e dominata dalla Germania, principale alleata di Israele in Europa, scelga di andare, con un fronte unico, allo scontro con il governo Netanyahu.

 

Intanto proseguono i riconoscimenti simbolici dello Stato di Palestina da parte dei singoli paesi europei, in attesa di quello dell’Ue che al momento è improbabile. Oggi il Parlamento spagnolo discuterà una mozione per il riconoscimento della Palestina, presentata dal Psoe e il cui testo è stato negoziato da tutti i gruppi politici. Intanto il governo svedese, primo fra quelli dell’Europa occidentale a riconoscere lo Stato di Palestina, ha comunicato che non intende aprire una ambasciata in Cisgiordania.