Non vogliamo far uso anche noi dei toni drammatici, da “ore decisive” per le sorti del popolo palestinese, che – inutilmente da venti anni a questa parte – usa Nabil Abu Rudeinah, il portavoce del presidente dell’Anp e dell’Olp Abu Mazen. Tuttavia la settimana cominciata ieri prevede appuntamenti di grande rilievo per i palestinesi. Oggi riprendono al Cairo i negoziati con Israele su Gaza, durante i quali dovrebbero essere affrontati i nodi veri del blocco che da anni soffoca la Striscia. Il (probabile) fallimento delle trattative – le posizioni delle due parti sono distanti anni luce – potrebbe portare a un nuovo round dell’offensiva israeliana “Margine Protettivo” contro Gaza già costata la vita a circa 2.200 palestinesi, in buona parte civili, e distruzioni immense. Nel fine settimana è previsto l’intervento di Abu Mazen all’Assemblea delle Nazioni Unite. Il presidente palestinese ha cercato nelle ultime settimane di ottenere il sostegno dell’Europa alla sua iniziativa – solo il francese Hollande lo ha ascoltato con attenzione – che chiede una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che stabilisca un calendario per il ritiro di Israele dai territori occupati nel 1967. In caso contrario, minaccia Abu Mazen, l’Olp si rivolgerà alla procura internazionale.

 

A questi appuntamenti i palestinesi arrivano divisi, spaccati come non mai, nonostante la riconciliazione tra Fatah e Hamas firmata ad aprile e che all’inizio di giugno era sfociata nella formazione di un governo di consenso nazionale. L’offensiva israeliana contro Gaza non ha unito le due principali forze politiche palestinesi, al contrario le ha divise di nuovo. Ieri, ancora al Cairo, sono ripresi i colloqui tra Fatah e Hamas, per trovare una via d’uscita alla crisi. Ha ragione l’analista palestinese Tariq Dana quando scrive che «La realtà della vita politica palestinese è dominata ancora una volta, noiosamente e provocatoriamente, dalla rinnovata rivalità tra Fatah e Hamas, che potrebbe facilmente portare al collasso del fragile governo di unità… Scontri verbali e accuse reciproche – sottolinea Dana – hanno marginalizzato la tragedia di Gaza e coperto l’attuale colonizzazione israeliana in Cisgiordania. Questo nuovo round di conflitto interno è senza dubbio deliberato; è una guerra fabbricata su un’autorità vuota».

 

Alle spalle della nuova crisi interna, che non ha solo basi ideologiche e politiche come crede qualcuno, c’è il conflitto per il controllo delle risorse finanziare che – se andrà bene la conferenza dei donatori internazionali per Gaza prevista il mese prossimo al Cairo – dovranno essere investite nella ricostruzione. Chi controlla i soldi controlla il popolo che ha bisogno di tutto in questo momento, oltre alla libertà dall’occupazione israeliana. Fatah e Hamas lo sanno. Il partito di Abu Mazen spera che la gestione che la “comunità internazionale” vuole affidargli di ogni singolo dollaro destinato alla ricostruzione, si riveli una testa di ponte per riorganizzare la sua base di consenso a Gaza. Da parte sua Hamas non intende stendere il tappeto rosso davanti ai “fratelli-rivali” decisi a prendersi l’intero piatto. E lo ha fatto capire qualche giorno fa quando le sue forze di sicurezza si sono presentate agli sportelli della Banca della Palestina (vicina a Fatah), in pieno centro a Gaza city, e – di fatto, armi in pugno – si sono fatte consegnare 750mila dollari. Hamas ha poi spiegato che quei soldi corrispondono alle tasse non versate dalla compagnia di telefonia mobile Jawal.

 

Forti le proteste di Fatah che parla di “rapina”, finalizzata a sottrarre risorse al governo palestinese ufficiale. Il partito di Abu Mazen inoltre accusa il movimento islamico – senza fornire particolari – di aver «sperperato» negli anni scorsi 700 milioni di dollari destinati ad aiuti umanitari ed infrastrutture civili. A Ramallah però non possono farsi maestri di correttezza e trasparenza. Rafik Natche, capo della Commissione anticorruzione dell’Anp, ha riferito nei giorni scorsi che il suo team ha recuperato 70 milioni dollari sottratti da alti funzionari palestinesi alle casse pubbliche. Rivelazione che ha generato profondo sdegno proprio nella base di Fatah. E chi alza troppo la voce rischia il carcere. Lo sanno bene i giornalisti Mujahed al Saadi (Filastin al Youm) e Bara al Qadi (Birzeit Media Club). Il primo sulla sua pagina di Facebook ha accusato di “tradimento” Azzam Al-Ahmad (capo negoziatore di Fatah al Cairo). Il secondo, ancora in carcere, avrebbe diffamato l’Anp. Negli ultimi mesi altri tre palestinesi sono stati arrestati e indagati dai servizi segreti dell’Anp per i loro post su Facebook: il farmacista Raed Al-Qubbaj, il tecnico del suono di “Raya Network FM” Tamer Kahla, e un giornalista, Qutaiba Saleh. Hamas da parte sua, durante “Margine Protettivo” ha tenuto almeno 250 oppositori e rivali politici agli arresti domiciliari (un militante di Fatah è stato “gambizzato”.