Per ovviare ai disastrosi effetti sulla cultura in generale – e sul teatro in partico lare – causati dalla pandemia – il Teatro Stabile di Bolzano ha lanciato un interessante progetto: la produzione di spettacoli tascabili per le scuole. Si tratta di «pillole di teatro» , da portare direttamente nelle classi, a partire dall’anno scolastico 2020/2021. L’iniziativa è stata lanciata online sul sito del TSB con un bando riservato ad attori, attrici e musicisti nati o residenti in provincia, i quali una volta selezionati vengono scritturati per due mesi al fine di dedicarsi alla elaborazione della piéce. Lanciato in collaborazione con il Dipartimento Cultura Italiana della Provincia Autonoma di Bolzano e con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bolzano il bando proponeva inoltre una lista di testi stilata con esperti del settore dallo stesso TSB e scaricabile dal sito assieme al bando per partecipare. Gli autori elencati erano una trentina: dal Bestiario di Leonardo da Vinci a Gli Esami di Arlecchino di Gianni Rodari, passando per Plauto, Giacomo Leopardi ma anche Pirandello, Brecht, Shakespeare e Goldoni. Una serie di testi classici, fiabe e commedie da ridurre e adattare alla fruizione nelle scuole primarie e secondarie di primo e di secondo grado. Da un lato si vuole far pensare a una nuova formula di avvicinamento del teatro alle nuove generazioni, in modo diretto, sintetico, coinvolgente, a uso di insegnanti e studenti (anche) per approfondire singoli argomenti trattati nei programmi annuali di studio. Dall’altra è una opportunità per i professionisti del settore a rimettersi in gioco e in campo, essendo tutti stati colpiti dallo stop causato dal Covid-19.

IL TEATRO vive del rapporto fisico tra gli attori sul palcoscenico e di quello tra la scena e il pubblico in sala. Lo sa bene chi almeno una volta nella vita ha messo piede in un teatro e ha poi assistito all’adattamento di una piéce per il piccolo schermo. Differenza enorme, perché in sala si ha la libertà di posare lo sguardo dove meglio si crede per seguire le azioni rappresentate, oltre al fattore principale che quelle stesse si nutrono di un’energia impalpabile che scorre tra attori e pubblico. Ora, nel periodo di chiusura totale dei teatri, alcuni mandano in onda (o in rete) registrazioni in video di spettacoli per rimanere vicini al proprio pubblico. Azione meritoria e apprezzabiel, ma spesso si tratta di mere documentazioni a macchina fissa sulla scena tutta, altre volte c’è una specie di regia filmica che non sempre corrisponde alle esigenze della drammaturgia del testo o della regia teatrale.

VENGONO in mente i grandi adattamenti per il piccolo schermo realizzati negli anni settanta e ottanta, come alcune pièce famose di Edoardo de Filippo, oppure regie di Giorgio Strehler realizzate magistralmente. Viene in mente soprattutto, però, un nome legato in modo particolare alla relazione teatro e televisione e cinema: Rainer Werner Fassbinder che diede inizio alla sua carriera in teatro. Dapprima operò negli allora molto diffusi teatri nelle cantine di Monaco (ce n’erano molti anche a Roma) col suo Action-Theater, che nel maggio 1968 fu trasformato in antiteater e che poi via via con gli stessi attori e le stesse attrici avrebbe realizzato i primi film, sviluppando un linguaggio visivo tutto suo, proprio a partire da quello teatrale, che conosceva a menadito. Che cosa aveva fatto delle sue opere un film teatrale? Pensiamo a un capolavoro come Le lacrime amare di Petra von Kant realizzato dallo stesso Fassbinder nel 1972 in soli dieci giorni, con bassissimo budget e basato sull’omonimo spettacolo (testo e regia sua) andato in scena nel 1971 alle settimane del teatro Experimenta a Francoforte. L’originale caratteristica teatrale non viene nascosta, anzi, viene quasi esageratamente sottolineata nella recitazione e nell’organizzazione drammatica delle sequenze, e al contempo l’obiettivo-occhio dello spettatore-regista segue/guida un percorso intimo e distaccato, critico e coinvolgente, dentro e attraverso l’artificialità della scenografia per ottenere un film più realista rispetto a uno girato in uno scenario natural-realistico.

FASSBINDER non esce mai da quella stanza, in cui l’intera vicenda è ambientata, invece di annoiare con l’apparente staticità riesce a creare grazie al suo linguaggio visivo una tensione a spirale che attira l’attenzione di chi guarda, lo risucchia quasi per coinvolgerlo, avvolgerlo e alla fine sconvolgerlo. Quella spirale di tensione che prima di lui aveva creato Alfred Hitchcock nei suoi film. Indimenticabili sono i suoi adattamenti di pièce teatrali per la televisione, da Das Kaffeehaus (1970) a Nora Helmer (1973) passando per Bremer Freiheit (1972). Il punto è che lui li aveva realizzati proprio per il piccolo schermo sulla base di testi teatrali. Fassbinder aveva concepito la regia televisiva sulla base di quella teatrale, come per Das Kaffeehaus (testo suo ispirato all’originale goldoniano, La bottega del caffè del 1750) l’intero film è girato in un ambiente unico, parete bianca, tappeto bianco, sedie nere, con piani-sequenza che alternano campo largo a campi stretti che registrano ciò che accade sul “palco”, dove tutti gli attori sono sempre presenti, anche se non coinvolti nell’azione, sulle sedie sullo sfondo e alternativamente inquadrati con zoomate, quando si parla di loro nei dialoghi. Perché raccontiamo tutto questo? Potrebbe essere un altro progetto da avviare, per ovviare alle problematiche post-Covid-19 e far realizzare cosiddetti “film teatrali” grazie a una collaborazione tra RaiCinema e i suoi vari canali, con i teatri, stabili e indipendenti, con attori e attrici singoli, con cineasti e tutta la filiera che ci sta dietro. Temi e testi, crediamo, non mancano…