Oltre a essere deputato di Liberi e Uguali e presidente della commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, Erasmo Palazzotto è uno dei garanti della missione Mediterranea Saving Humans. Anche per questo ieri mattina ha utilizzato parole durissime per commentare il provvedimento che impedisce a due importanti membri dell’equipaggio di salire sul rimorchiatore Mare Jonio: «silenziando le polemiche e all’insegna di una sobrietà istituzionale impeccabile, l’attuale Ministra dell’Interno sta usando la stessa strategia del predecessore». A bordo della nave umanitaria Palazzotto ha viaggiato diverse volte. Il 5 luglio 2019 ha partecipato al salvataggio di 54 persone. Per quell’episodio è finito sotto inchiesta, insieme al comandante Tommaso Stella, con capi di imputazione che vanno dal favoreggiamento dell’immigrazione clandestina alla disobbedienza a nave da guerra. Sulla vicenda disse: «Rinuncio all’immunità parlamentare, non scappo dai processi come Salvini».

Ha dichiarato: «Parafrasando Giorgio Gaber si potrebbe dire che “Non mi preoccupa Salvini in sé, ma il Salvini che governa insieme a noi”». Sono parole forti.

Quello a cui stiamo assistendo è in piena continuità con le politiche del governo precedente. Sul piano della guerra alle Ong è cambiato solo lo stile, ma l’obiettivo è identico: bloccare le navi della flotta civile che salvano vite umane. Questo è un problema politico per un governo nato all’insegna di una discontinuità sul terreno delle migrazioni che ancora non si vede.

L’esecutivo ha bloccato Mediterranea e tutte le altre navi umanitarie attraverso provvedimenti amministrativi che nulla hanno a che vedere con i decreti sicurezza di Salvini. Rispetto al soccorso in mare l’eventuale modifica di quelle norme potrebbe risultare del tutto ininfluente.

Come dicevo prima ciò che conta è la sostanza, che finora non è cambiata. Si adotta uno stile più sobrio, si ricorre a cavilli burocratici, ma si continuano a fermare le navi. Tutto questo serve soltanto a una cosa: evitare di assumersi la responsabilità politica del blocco.

I provvedimenti contro le Ong non sono firmati dal ministero dell’Interno, alla cui guida c’è una tecnica come Luciana Lamorgese, ma da quello dei Trasporti e delle infrastrutture, al cui vertice siede Paola De Micheli, esponente di spicco del Partito democratico. È lei la mittente o la responsabilità è da cercare altrove?

C’è una comunione di intenti. È evidente che tra Lamorgese e De Micheli esiste una visione comune della gestione di questa fase. Allo stato attuale tale visione non mette in discussione il paradigma su cui si fondavano le politiche migratorie del’esecutivo gialloverde. Si demanda tutto a questioni amministrative per non fare scelte politiche. Di tutto questo si deve far carico il governo perché c’è divergenza rispetto alle basi su cui è nata l’alleanza.

Liberi e Uguali sostiene l’esecutivo ma alcuni tra i suoi esponenti, come lei ad esempio, sono coinvolti direttamente nel progetto di Mediterranea. Dopo quello che è accaduto ieri queste due cose sono ancora compatibili?

Sono uno dei garanti di Mediterranea perché ho ritenuto importante dar vita a un’esperienza della società civile come questa. Ho dato il mio contributo. Il ruolo istituzionale che rivesto richiede l’impegno in una battaglia affinché la Mare Jonio e tutte le altre navi della società civile possano continuare a svolgere la propria azione.

Gli avvocati di Mediterranea presenteranno ricorso. A livello politico, invece, cosa accadrà?

Insieme agli altri garanti che appartengono alla maggioranza chiederemo alle ministre Lamorgese e De Micheli di riferire in aula e spiegare le linee di indirizzo sulle Ong. Se sono quelle viste concretamente o se c’è un’idea diversa. Il governo si deve assumere la responsabilità politica di quello che sta facendo, non può derubricare queste scelte a livello amministrativo mentre in mare la gente continua a morire