Il «caso Palamara» produce ancora effetti. Domani e lunedì gli oltre 9mila giudici e pm italiani sono chiamati a votare a elezioni suppletive per un posto vacante al Consiglio superiore della magistratura. Accade per la terza volta in tre anni, causa lo stillicidio di dimissioni seguite all’emersione pubblica del mercimonio sui vertici delle procure fra cinque membri del Csm, l’ex presidente dell’Anm Luca Palamara (ora radiato dall’ordine giudiziario) e i deputati renziani del Pd Luca Lotti e Cosimo Ferri, quest’ultimo passato poi a Italia Viva. Nota bene: Ferri è un magistrato in aspettativa che, prima di essere reclutato da Matteo Renzi, guidava la corrente più conservatrice, Magistatura indipendente (Mi).

Tra un anno la consiliatura di Palazzo dei Marescialli più travagliata della storia repubblicana finirà, quindi inevitabilmente l’attenzione per questo turno elettorale non è alta. Senza considerare che, fra emergenza Covid e caos vaccini con annesse polemiche sulle priorità nei turni, anche nei tribunali i pensieri in questo periodo vanno ad altre cose. In ogni caso è pur sempre un test interessante per capire umori e orientamenti delle toghe, che mai come ora stanno attraversando una fase di disorientamento interno e scarso feeling con l’opinione pubblica. Come dimostrano, emblematicamente, le vendite altissime del libro Il sistema dello stesso Palamara, scritto a quattro mani con il direttore de Il Giornale berlusconiano Alessandro Sallusti.

In lizza per il posto reso libero dalle dimissioni di Marco Mancinetti ci sono quattro candidati, uno per ogni corrente principale: Mario Cigna di Unicost (il gruppo centrista cui appartenevano Palamara e l’ultimo dimissionario), Maria Tiziana Balduini di Mi (sigla di altri tre costretti a dimettersi nel 2019), Marco D’Orazi della davighiana Autonomia e indipendenza e Luca Minniti di Area, della quale fa parte (non senza tensioni) Magistatura democratica. D’Orazi e Minniti sono dunque espressione delle uniche due componenti che non hanno visto propri membri costretti a lasciare il Csm a causa dello scandalo, ma non è affatto certo che sarà uno di loro ad essere premiato dalle urne. La destra di Mi conserva, nonostante tutto, molta presa, e c’è chi è disposto a scommettere che a vincere sarà la sua esponente, Balduini, presidente di sezione del tribunale di Roma.

Il davighiano D’Orazi, giudice a Bologna, si è fatto conoscere anche attraverso il libro Una giustizia degna dell’Italia (edizioni Pendragon). Pubblicato l’anno scorso sull’onda della vicenda Palamara, è un j’accuse contro «la perdita delle caratterizzazioni ideali» delle tre correnti tradizionali (Unicost, Mi e Area) trasformatesi in mere macchine autoreferenziali di gestione del potere, complice il fatto che «la gran parte dei magistrati si disinteressa del funzionamento dell’autogoverno».

Una delle soluzioni indicate: lo stop al carrierismo. Idea condivisa dal progressista Minniti, in servizio a Firenze nella sezione del tribunale dedicata a immigrazione e richieste di asilo: «Occorre evitare che la “dirigenza” sia inseguita come espressione di una tappa della “carriera”» si legge nel suo programma pubblicato sul sito della rivista di Md Questione giustizia. I fatti che hanno portato alla catena di dimissioni dal Csm, sostiene Minniti, «hanno rivelato condotte gravissime, che hanno dimostrato la ricorrente capacità d’infiltrazione d’interessi abusivi all’interno della giurisdizione e dell’autogoverno dei magistrati». Parole dure che forse non tutti i magistrati hanno voglia di sentire.