Forse l’Unione Europea ha fatto autogol. Diciassette paesi europei non sono in linea con i dettami dell’Unione: tanto più si avvicina la «crescita economica», tanto più i stringenti i vincoli europei dovrebbero aiutarla, al netto dei vincoli flessibili di bilancio pubblico per la guerra che richiamano lo stato minimo, tanto più si allarga la pattuglia degli Stati fuori norma.

Più si avvicina la «luce» in fondo al tunnel, più si allarga la pattuglia dei paesi in difficoltà o impossibilitati a creare lavoro e crescita. In estrema sintesi, e non è un paradosso, il report 2016 «Alert Mechanism», figlio della speculazione finanziaria del 2011, al governo nazionale arrivò il salvatore della patria Mario Monti, denuncia l’inefficacia delle politiche adottate e l’inutilità di certi vincoli: le regole europee non funzionano, e tanto più ci ostiniamo nell’applicarle, tanto più i paesi rallentano la crescita economica e il disagio sociale.

Naturalmente i rappresentanti comunitari sostengono che le politiche adottate dagli stati non erano coerenti, oppure affermano che erano insufficienti e che serve più rigore e monitoraggio, ma i paesi fuori norma aumentano di anno in anno. Il numero dei paesi sotto esame cresce, e non abbiamo ancora sperimentato e visto la crisi dei Paesi Brics, così come non abbiamo ancora idea di cosa possa succedere in Medio Oriente. Il brutto tempo deve ancora arrivare, ma andiamo avanti allo stesso modo.

Con ogni probabilità il rinvio al prossimo anno del giudizio di allerta di molti paesi, tra cui l’Italia, è più una riaffermazione di se stessi che il quadro di una politica economica più o meno coerente. Se a tutto questo consideriamo che l’80% dei soldi del QE (quantitative easing) è parcheggiato a Francoforte, cioè le imprese creditizie non prestano denaro perché è poco domandato dalle imprese e dai cittadini in ragione della crisi, il quadro diventa molto più preoccupante. Inoltre, chiedere alle banche di fare prestiti quando sono sedute sopra ad una montagna di debiti deteriorati, per l’Italia si tratta di 200 mld di euro, senza che nessuno si preoccupi di rilanciare la domanda interna (pubblica), è proprio una brutta politica economica.

Il governo non può dire mal comune mezzo gaudio. Il Paese non è all’inizio della crescita economica; passo dopo passo si allontana da tutti gli altri paesi europei. L’Italia è sempre agli ultimi posti per produttività e crescita economica; continua a perdere quote di commercio internazionale e mantiene un alto tasso di disoccupazione, in particolare giovanile. Senza contare chi ha rinunciato a cercare lavoro. Alla fine sono più di 6 mln le persone che non cercano più lavoro.

Ci dimentichiamo troppo presto che l’Italia non ha ancora recuperato le posizioni economiche del 2007; nel frattempo ha perso il 25% di produzione industriale, il 20% di struttura produttiva e ridotto gli investimenti in rapporto al Pil. Se poi consideriamo che gli investimenti prima della crisi in rapporto al Pil erano tra i più alti della media europea, possiamo comprendere l’allerta della Commissione.

La crisi è molto seria e le politiche di Renzi, che scavalcano a destra la Commissione Europea – si pensi alla discussione sull’utilizzo delle clausole di flessibilità per tagliare le imposte sulla casa, oppure alla flessibilità degli immigrati per ridurre le tasse alle imprese, sono sbagliate – inutili e dannose.