L’ultimo della lista, per ora, è La Padania. Il giornale della Lega nord chiuderà a partire dal prossimo primo dicembre. «Si tratta dell’ennesimo bavaglio calato dal governo Renzi, che riduce contributi per l’editoria che esistevano da anni», si lamenta Matteo Salvini. Il segretario della Lega dà la colpa al premier ma il cdr del giornale non gli perdona di non aver investito nella testata. «Anche in via Bellerio – scrive il sindacato dei giornalisti in un comunicato apparso sul giornale di ieri – è stata fatta una scelta politico-editoriale che ha condotto alla cancellazione di una testata che da quasi 18 anni ha rappresentato l’unica voce delle battaglie del Movimento. La Lega infatti, nonostante le prospettive di crescita dei consensi politico-elettorali che tutti i sondaggi le riconoscono, ha deciso di non rinnovare il proprio contributo al bilancio dell’Editoriale Nord», la società che edita La Padania.

Insomma la chiusura del giornale ha tutta l’aria di una resa dei conti interna al Carroccio, ma ciò non toglie che dalla fine del mese l’ultimo giornale di partito ancora esistente non ci sarà più e i suoi dipendenti – grazie al taglio dei contributi per l’editoria decisi dal governo – saranno in cassa integrazione.

E non sono gli unici. Dal 16 novembre saranno in cassa integrazione anche i redattori di Europa, giornale del Pd che ha resistito un po’ più dell’Unità (il cui futuro è ancora incerto nonostante le proposte di acquisto ricevute) ma già fuori dalle edicole e – da sabato prossimo – cancellato anche dal web.
Beppe Grillo può essere contento. Grazie a Renzi, infatti, il suo sogno di vedere abolito il finanziamento pubblico per l’editoria (il M5S ha presentato un ddl proprio su questo), potrà finalmente realizzarsi. Da un giorno all’altro, senza nessun annuncio, la presidenza del consiglio ha azzerato il fondo mettendo a serio rischio la sopravvivenza di almeno un centinaio di testate in cooperativa e non profit, oltre a tremila posti di lavoro più l’indotto.

Fino allo scorso mese di luglio il fondo poteva contare su 55,9 milioni al netto di una serie di spese che comprendono, tra l’altro, il rimborso a Poste italiane e le convenzioni Rai. Soldi destinati al pagamento dei contributi relativi al 2013 e per questo già inseriti in bilancio da decine di aziende editoriali. In tre mesi però i fondi già stanziati sono spariti e con la legge di stabilità in discussione in questi giorni alla Camera il fondo sembra essere stato azzerato anche per l’anno in corso.

Due mazzate sotto le quali numerose testate, soprattutto locali, rischiano di uscire definitivamente dalle edicole andando ad aggravare ulteriormente una situazione di per sé già pesante. Solo nel 2013 sono stati infatti già una trentina i giornali locali che si sono visti costretti a portare i libri in tribunale, mentre 800 giornalisti hanno perso il proprio posto di lavoro. «E qui parliamo della parte nota ed emersa, da moltiplicare se volgiamo lo sguardo all’inferno del precariato, altri nuovi servi della gleba», ha scritto nei giorni scorsi, proprio sul manifesto, l’ex senatore Pd Vincenzo Vita, per il quale «lo stile del governo Renzi potrebbe apparire conversativo e pieno di promesse: in verità la pratica reale è drammatica».

Tutto è ora nelle mani del sottosegretario alla presidenza del consiglio con delega all’editoria Luca Lotti, che si è impegnato a reperire i fondi necessari a coprire almeno i contribuiti per il 2013, mentre continua a restare il buio assoluto per quanto riguarda il 2014.

Nel frattempo l’incertezza regna sovrana, alimentata dal silenzio che circonda la sorte di numerose aziende editoriali. Al punto da spingere la Fnsi a lanciare un appello a Matteo Renzi: «È urgente – ha chiesto il sindacato nazionale dei giornalisti – che il governo valuti con attenzione e sostenga l’iniziativa che il sottosegretario Lotti sta assumendo per reperire le risorse necessarie ed evitare che una coltre di silenzio si abbatta su tutto il territorio nazionale» con la chiusura dei giornali.