Sarà lutto cittadino. Questa volta niente di più lontano dalla solita formula di rito che lascia indifferenti: Dario Fo non c’è più. Se n’è andato ieri mattina a 90 anni in una stanza dell’ospedale Luigi Sacco di Milano dove era ricoverato da qualche giorno in seguito a complicazioni polmonari. Lucido fino all’ultimo.

Dicono i medici che prima di morire cantava una strana canzone e che ogni giorno si faceva leggere i giornali per essere sul pezzo. Si informava, a Dario Fo tutti continuavano a chiedere di tutto. Il figlio Jacopo ha fatto riferimento al «gran finale» di suo padre, non può essere che così: «L’unica cosa che posso dire è che ha resistito e ha continuato a lavorare otto-nove-dieci ore al giorno fino a quando è stato ricoverato, bisognerebbe metterlo nei prontuari medici, l’arte, la passione e l’impegno civile servono».

Milano ne sente già la mancanza. Dario Fo è Milano. L’ha amata e l’ha anche detestata. La sua è una storia scritta e letta mille volte, la cultura e la controcultura, la sinistra, il periodo più esaltante, i suoi drammi e i suoi tormenti e poi un percorso politico che alcuni – i meno astiosi – in un giorno come questo definirebbero spericolato, diciamo da Mani Pulite fino all’adesione al Movimento Cinque Stelle.

Manca in qualche modo un’altra storia, una versione apocrifa e forse sarebbe la più bella e sincera, anche se inventata. Potrebbero scriverla a partire da oggi tutte le persone che in mezzo secolo lo hanno incontrato per strada, durante una manifestazione, lungo il corteo del 25 aprile, insieme a Franca Rame, oppure a teatro, sul palco o dopo uno spettacolo per una chiacchierata che lasciava sempre disorientati. Troppo disponibile per essere vero. Tantissimi in queste ore se lo stanno raccontando per come lo hanno vissuto, i milanesi gli devono veramente qualcosa: un ricordo indelebile, anche piccolo. Questa è la sua grandezza. «Il nostro Paese e il mondo intero – si legge sul sito di Dario Fo e Franca Rame – perdono oggi un artista che per tutta la vita si è battuto contro l’affermazione secondo cui la cultura dominante è quella della classe dominante».

Il suo palco per la prima e ultima volta oggi sarà vuoto, ma gli spettatori saranno ugualmente migliaia e la scena sarà tutta per loro. Sarà uno spettacolo dedicato al «popolo» – come avrebbe potuto dire solo Dario Fo senza risultare patetico – che da questa mattina alle 9,45 fino a mezzanotte si metterà in fila per un ultimo saluto alla camera ardente allestita nel foyer del Teatro Strehler, in via Greppi 1 (riaprirà domani dalle 8,30 alle 11, quando Dario Fo verrà trasportato in piazza Duomo per la cerimonia laica). Ci sarà anche un bel pezzo di «classe dominante», o aspirante tale, ma probabilmente non si piazzerà sotto i riflettori, il Maestro avrebbe voluto così e magari avrebbe anche alzato la voce (insieme alla Milano «che conta» al gran completo è atteso anche lo stato maggiore del M5S, Davide Casaleggio e Beppe Grillo, che pochi giorni fa è andato in ospedale per un ultimo saluto).

«I suoi lavori – si legge ancora sul sito – nascono dalla cultura popolare per essere restituiti al popolo». Il sindaco di Milano, Beppe Sala, non poteva fare altro che proclamare per sabato il lutto cittadino, «un gesto di vicinanza e affetto da parte dell’amministrazione e di tutta la città». L’assessore alla Cultura del Comune di Milano, Filippo Del Corno, ha aggiunto che «Milano è profondamente colpita e addolorata dalla perdita di Dario Fo, consapevole di quanto la sua vita abbia saputo testimoniare la libertà in tutte le sue forme e contribuito a formare la coscienza critica di ognuno di noi, consegnando alla storia uno dei protagonisti del Novecento italiano».

Per rispetto alla storia, bisognerebbe anche aggiungere che Dario Fo non è mai stato di tutti. È stato un uomo di parte, di sinistra, e proprio alla sua parte rimasta orfana negli ultimi anni ha dato un dispiacere che continua ad essere rimosso. Adesso che anche questa storia è finita per davvero ci sarà tutto il tempo per ragionarci su ed elaborare un altro lutto. Nel frattempo Milano, almeno mezza, si ritrova un po’ più sola ma con un sacco di storie da raccontare. Gli intitoleranno la Palazzina Liberty, lo celebreranno negli anni a venire. La sua voce continuerà a raccontare.

Radio Popolare ieri ha quasi sospeso le trasmissioni per mettersi in ascolto della città. La Rete continua a moltiplicare ricordi personali, saluti commossi e non sono solo tristezze. Gira anche una fotografia a colori che restituisce un senso di vuoto che sembra incolmabile, eppure non dovrebbe. Sono tre milanesi di adozione che hanno adottato la città e se la ridono in un abbraccio come hanno fatto per tutta la vita: Gaber, Jannacci e Fo. Non ci sono più, è vero. Però ci sono stati.