Il verdetto era atteso ed è arrivato: la sezione disciplinare del Csm giudica Luca Palamara «responsabile di tutti gli illeciti» e lo condanna alla sanzione massima, la radiazione dalla magistratura. Lui, l’ex presidente dell’Anm intercettato mentre nella primavera del 2019 organizzava le nomine di vertice delle procure di Roma e Perugia, incontrandosi la sera all’hotel Champagne di Roma con diversi magistrati del Csm e gli ex sottosegretari ed ex Pd Lotti e Ferri (il primo è fuori dal parlamento, il secondo è passato con Italia viva), ha scelto di non parlare davanti ai suoi giudici disciplinari (per i reati penali sarà processato a Perugia). Ma lo ha fatto a lungo subito dopo, ospite del partito radicale con il quale, ha annunciato, collaborerà per realizzare i suoi «valori» come «senso civico e amore per la giustizia».

Palamara farà ricorso contro la radiazione, davanti alle sezioni unite della Corte di Cassazione e magari anche davanti alla Corte di giustizia europea. Ma non solo per queto tornerà a far parlare di sé. «Sono consapevole di aver pagato per tutti, ma non ho inventato io il sistema delle correnti», ha detto. Avvertendo che racconterà tanto, forse tutto. Farà niente di meno che «una rivisitazione dei rapporti tra magistratura e politica negli ultimi vent’anni». E qualcosa anticipa.

«Ho sempre frequentato i politici – racconta – li ho frequentati anche in occasione dell’elezione dei vice presidenti del Csm» che nel precedente consiglio, dove Palamara sedeva, come nel consiglio attuale, sono (Legnini ed Ermini) ex parlamentari del Pd. Pesantissimo il passaggio immediatamente successivo, quando Palamara fa sapere che è pronto a tirare in ballo la magistratura di sinistra che considera responsabile dei suoi guai. «Gli accordi si chiamano così perché partecipano più rappresentanti dei vari gruppi – dice – i miei accordi sono stati prevalentemente con la corrente di Area. Quando mi sono spostato più a destra, con Magistratura indipendente, ho avuto questi problemi. E’ venuto fuori il trojan. Ma il trojan ha registrato l’incontro di una notte, è una fotografia parziale, ha scoperto gli accordi tra Unicost e Mi e non ci dice quello che è avvenuto o che avveniva anche con riferimento agli altri gruppi associativi». E poi si fa allusivo, arriva a far sapere di aver messo in sicurezza le prove in suo possesso: «Mi dispiace che un procuratore aggiunto si sia indispettito per la pubblicazione delle mie chat e mi abbia definito con epiteti non carini. Farò i nomi, ho parlato di nomine con politici diversi da Lotti e partiti diversi dal Pd. Di cene ne ho fatte moltissime e non detengo solo io il materiale probatorio».

Eugenio Albamonte, segretario di Area, replica alle parole di Palamara: «Sta tentando di sovrapporre faccende diverse. Una cosa sono le contestazioni che lo riguardano, una precisa scacchiera di nomine, un preciso incontro notturno con soggetti politici coinvolti in indagini della procura oggetto delle loro attenzioni, un altro è il tema che riguarda il malcostume delle nomine spartitorie. Riguardo a questo noi di Area per primi ci siamo assunti le nostre responsabilità, lo abbiamo fatto prima che esplodesse questo caso allontanandoci da un modo sbagliato di gestire il Consiglio e raccogliere consensi con pratiche clientelari. Infatti, come conferma lo stesso racconto che ha fatto Palamara, il nostro gruppo era completamente escluso dagli accordi in stile hotel Champagne».

Mentre da molti esponenti del centrodestra e dal mondo dell’avvocatura arriva l’avvertimento che la magistratura non può emendarsi solo con il sacrificio di uno, Palamara denuncia di aver avuto un procedimento troppo veloce dal quale sono stati esclusi la quasi totalità dei testimoni che citati a difesa. Erano 133 (ne sono stati ascoltati sei), nell’elenco c’erano anche due consiglieri del Csm – Davigo ed Ermini – che hanno firmato la sentenza di ieri. Dal Consiglio spiegano che i procedimenti sono sempre così rapidi quando un magistrato è sottoposto a misure cautelari, nel caso di Palamara la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio. Tra un paio di settimane partirà l’iter nei confronti degli altri cinque magistrati coinvolti nelle intercettazioni che si sono dimessi dal Csm (delle correnti di Unicost e Mi) mentre a parte sarà trattato il caso Ferri, magistrato in aspettativa e parlamentare. Probabile però che a spingere sull’acceleratore sia stata anche l’imminente decisione su Davigo, anche se il giudice pare destinato a essere confermato nel Csm malgrado il 20 ottobre vada in pensione – «dobbiamo attenerci agli stretti criteri di diritto e la pensione non è prevista come causa di decadenza», spiega un togato di Area. Mentre un altro caso sta per agitare il Csm, quello della sostituzione dell’ultimo magistrato costretto alle dimissioni, Mancinetti. Una parte dei togati punta ad assegnare il posto all’ex presidente dell’Anm, l’esponente di Mi Pasquale Grasso. Senza nuove elezioni.