Nel giorno in cui davanti alla sezione disciplinare si è aperto il giudizio ai danni del magistrato Luca Palamara, secondo le accuse della procura di Perugia al centro di una rete di politici e toghe che voleva condizionare le nomine nei più alti uffici giudiziari del paese, proprio la funzione disciplinare del Csm appare sul punto di crollare. Una nuova serie di intercettazioni agli atti dell’inchiesta perugina mette nei guai il magistrato inquirente più alto in grado del paese: Riccardo Fuzio, procuratore generale della Cassazione, in quanto tale membro di diritto del Csm e titolare dell’azione disciplinare. Proprio lui aveva mosso, con un certo ritardo, l’azione nei confronti di Palamara, chiedendone la sospensione cautelativa dalle funzioni e dallo stipendio, per ritrovarsi però intercettato dal trojan inserito nel cellulare di Palamara mentre discute di come orientare la nomina del nuovo procuratore di Roma.

Fuzio è un magistrato di Unicost, corrente moderata di cui Palamara in passato è stato il leader. E ieri la giunta esecutiva dell’Anm (di cui Unicost fa parte) ha chiesto al procuratore generale di dimettersi, «un gesto di responsabilità» per lo «sconcertante episodio nel quadro già molto grave» che coinvolge toghe e politici all’ombra del Csm. Secondo il vertice dell’Anm, anche Fuzio, come Palamara e tutti gli altri togati del Csm intercettati, deve essere deferito al collegio dei probiviri.
I difensori di Palamara, intanto, hanno ricusato due magistrati del collegio disciplinare, le toghe della corrente di Davigo (Davigo stesso e Ardita). E hanno depositato una memoria nella quale Palamara ammette di aver partecipato a incontri nei quali si è discussa la nomina del successione di Pignatone a Roma, ma si descrive come «parte di un sistema, con pregi e difetti»