In questi due anni di pandemia l’editoria si è trovata ad attraversare un periodo tutt’altro che roseo. Librerie chiuse, gente in casa, perdita di posti di lavoro, precariato nelle redazioni e numero di pubblicazioni in calo. Eppure, curiosamente, sono nate diverse nuove riviste. Da diverse stagioni la rivista cartacea sta attraversando un periodo di scarsa fortuna, basti pensare ai piccoli circuiti nei quali molte riviste storiche sono oramai confinate, o al passaggio tentato, spesso infruttuosamente, alla versione digitale. Alcuni periodici hanno resistito più per una questione di prestigio, altre, come Lo Straniero diretta da Goffredo Fofi hanno chiuso pagando anche lo scotto di nuove generazioni che tendenzialmente leggono riviste se li riguarda, a differenza di precedenti generazioni di autori e intellettuali che leggevano per curiosità.

TRA LE NUOVE RIVISTE VA ACCOLTO con entusiasmo Moreness, termine inglese che può essere tradotto come il tentativo di andare oltre, more significa di più, ma oltre che cosa? Oltre quel che si può sapere o fare o dire o compiere, oltre la conoscenza, oltre i limiti, oltre le definizioni. Oltre. La rivista nasce a Bolzano nella factory e agenzia di comunicazione FranzLab, fondata da Anna Quinz e Kunigunde Weissenegger. Nell’editoriale al primo numero Anna Quinz suggerisce scherzosamente di voler superare lo stereotipo dell’Alto Adige come terra di mele e mucche e infatti l’impegno la porta a collaborare con musei, realtà imprenditoriali, consorzi, pubbliche amministrazioni e altri soggetti attivi sul territorio. All’interno di questo spartito di azioni e intuizioni si posiziona un’attività editoriale di cui la rivista è probabilmente la pietra preziosa.

I PRIMI TRE NUMERI COSTITUISCONO una trilogia dedicata ad alberi e boschi: Above the Tree Line (Al di sopra della linea degli alberi), On Trees and Woods (Di alberi e boschi) e From Woods to Wood (Dalle foreste al legno). I primi due numeri sono già usciti, il terzo è in chiusura ed uscirà la prossima primavera. L’uso dell’inglese, unitamente alle lingue madri italiano e tedesco, la cura tipografica ed editoriale oltre che la carta su cui viene stampata proiettano la rivista a livello continentale. Di fatto ogni numero è un numero a sé, che può essere ponderato come una pubblicazione singola, ma la qualità è tale per cui non è difficile pensare che coloro che ne acquisteranno un numero potrebbero affezionarsi. Il formato è generoso, 28 cm x 21 cm, 200 pagine, tiratura 2000 copie. Fotografie a piena pagina di meravigliose foreste, sontuose montagne, esempi di architettura civile e installazioni, idee, progetti grafici, reportage, un’impaginazione dei testi elegante.

GLI SPUNTI SONO MOLTI. I CONSIGLI si moltiplicano navigando i diversi contributi. Molto graziosa la soluzione di offrire ogni tot pagine una guida interna, una sorta di mini guida staccabile, con tanto di bibliografia delle citazioni e consigli librari a tema. Andando nei particolari nel primo numero si legge di persone che hanno lasciato la città e sono andati a vivere in montagna, c’è una piccola enciclopedia di design in altezza, geografia dei luoghi della Grande Guerra, appunti di cinema di montagna, l’alpinismo nelle Dolomiti ai nostri giorni. Il secondo numero invece si apre con un’immancabile conversazione col filosofo Emanuele Coccia su quel che ci potrebbe insegnare il bosco, visita ad alcuni grandi alberi del pianeta come Tane Mahua in Nuova Zelanda, un percorso tra miti e media legato alla fascinazione antica che le foreste da sempre agiscono sugli umani, una piccola enciclopedia del bosco illustrato, una visita alle opere in mutamento costante di Arte Sella, le fratture imposte dalla tempesta Vaia e molto altro. Si spazia in ogni direzione, appunto moreness.

SI POSSONO ACCAREZZARE GRANDI TEMI e luoghi che vanno visitati almeno una volta nella vita. Si possono anche imparare nuovi vocaboli, come ci informa Pierangelo Giacomuzzi nel suo Bushcraft & Treefisting, che sembrerebbero a primo acchito estreme pratiche sessuali da esibirsi in selva, ma invece sono altro: o meglio. Il Treefisting che tra le due forse preoccuperebbe di più è in effetti una pratica invasiva, usata quando si debbono montare le teleferiche: per ancorarle si scava sotto le radici degli alberi e vi si vincolano cavi d’acciaio. Curiosamente poi si parla di bel paesaggio e di rispetto della natura ma ci si dimentica sempre di cosa è costato far spazio a certe opere dell’ingegno umano. Bushcraft invece è un termine che indica quelle soluzioni che un individuo apprende vivendo in ambienti selvatici, come pratiche di adattamento, di sopravvivenza, di convivenza.

D’ALTRONDE, COME L’AUTORE SCRIVE, «il bosco è anche questo, un luogo dove urlare quello che non puoi, o non vuoi al resto del mondo», un pensiero interessante che mi riporta alla memoria la famosa scena finale di In the mood for Love di Wong Kar-Way: un uomo innamorato di una donna oramai inaccessibile va tra le rovine di Angkor Wat, in Cambogia, e sussurra il suo amore segreto in un foro del muro, tra le radici che gli alberi nei secoli hanno spinto nelle rocce. Molte storie ambientate negli ultimi anni tra le montagne hanno a che fare col dolore, con la perdita, il tradimento, il fallimento; romanzi celebri e premiati quanto raccolte di poesie ne ribadiscono questo valore, e d’altro canto quando si viene a meditare nelle foreste di montagna i pensieri e i ricordi che vorremmo togliere dal nostro orizzonte emotivo e dalla nostra memoria sono proprio i primi veleni da cui desideriamo purgare. Per molti la montagna è un punto del mondo dove riparare quando tutto sembra crollare.

MI COMMUOVE RITROVARE FOTOGRAFIE in bianco e nero di Giampietro Sono Fazion, artista di Land Art che ad un certo punto ha abbracciato lo zen – è stato allievo del maestro Fausto Taiten Guareschi – e poi uno dei nostri più attenti studiosi di buddismo, suoi sono ad esempio due libri assai preziosi, come La luna e lo zen e Viaggio nel buddismo zen; c’è stato un tempo nel quale era un artista alla ricerca di un senso profondo, migrava per documentare le curiose eredità presenti sulle rocce del suo Trentino, realizzava mantra anonimi sulle pareti di roccia, seppelliva libri sottoterra e componeva musiche. Le sue fotografie accompagnano la ricerca di definizioni di Mali Weil, trio di artisti con base a Trento.

UN GENERE LETTERARIO A SE’ E’ DIVENTATO il viaggio alla ricerca dei segni di quel che accadde nei luoghi settanta o cento anni addietro, al tempo delle due guerre mondiali. Quanto il paesaggio trasmuta, e che cosa resta di quelle fortificazioni che erano contese, magari per mesi, dai soldati degli opposti schieramenti. Di queste matrice è il reportage di Marco Ferrari, Grande Guerra e Geo-grafia, che ci accompagna a vedere cosa è accaduto e sta accadendo a questi monumenti: «Da materiale estraneo ed artificiale qual’era, il cemento è venuto sempre più a configurarsi come presenza legittima dello spazio alpino, materiali liquidi a presa rapida su pareti di roccia millenaria», avviene quella trasformazione di cui parlava, tra i molti, Heidegger, con gli oggetti che entrano in un luogo e alla fine lo determinano, diventano essi stessi il luogo. Chiunque abbia camminato in altura e abbia incontrato i resti di una casa abbandonata, un villaggio diroccato, o un muraglione che resiste abbattuto e sovrastato dai rovi, o dal bosco che inesorabilmente avanza, si sarà soffermato a riflettere su chi vi abbia vissuto, decenni prima, o quale storia abbia quel rudere. Alcuni di questi erano sorti proprio in tempi di fuoco»

«STA A NOI DECIDERE, CONCLUDE il professore, se considerare queste opere relitti della storia o germogli di una nuova geografia». La montagna è un essere immortale che muta costantemente. Per coloro che volessero acquistare la rivista il sito è www.franzlab.com/moreness.