A CURA DI HENRY-JEAN SERVAT

IO, BRIGITTE BARDOT

ELECTA

Se si sfoglia oggi l’albo di Brigitte Bardot, si fa fatica a capire il ciclone mediatico che tra gli anni cinquanta e sessanta ha accompagnato la sua popolarità. Il fenomeno Bardot esplode con “Et Dieu créa la femme” (1956) di Roger Vadim che sforbiciato dalla censura arriva in Italia soltanto due anni dopo con il titolo “Piace a troppi”. Juliette, la protagonista, se ne va in giro scalza, in chemisier sbottonati o in jeans e T-shirt aderente – ma nello yacth sfoggia un abito rosso fiamma e quando si scatena nel mambo una sgargiante gonna verde aperta fino all’ombelico – sullo sfondo di Saint-Tropez prima dell’imminente boom turistico. Nella sua ingenua freschezza il film coglie l’aria del tempo – Juliette abbracciata al jukebox mentre Gilbert Bécaud canta “Mon coeur éclate” è più di una eloquente foto d’epoca – e impone l’immagine della donna-bambina, sfrontata e innocente, che alimenta le fantasie maschili nello stesso momento in cui prefigura la rivolta giovanile se non addirittura l’emancipazione della donna. Negli anni settanta abbandona il cinema per ritirarsi nella sua villa “Madrague”, dedicandosi alla battaglia per la difesa dei diritti degli animali che la vedrà a lungo in prima fila. (pp. 230, euro 29,90).

MAURO CARBONE

FILOSOFIA-SCHERMI

RAFFAELLO CORTINA

Senso o non senso? Grande esperto di Maurice Merleau-Ponty, l’autore risale all’inedita “Apologia per il cinema” del giovanissimo Sartre per cogliere il ruolo del bergsonismo negli anni trenta francesi a cui si rifarà Deleuze nella sua appassionata riflessione cinefilosofica degli anni ottanta. Fondamentale la conferenza Il cinema e la nuova psicologia”che Merleau-Ponty tiene nel marzo 1945 all’Institut des Hautes Etudes Cinématographiques di Parigi – il famoso Idhec, nello stesso momento in cui André Bazin vi muove i primi passi come direttore dei servizi culturali – destinata a diventare uno dei saggi più innovativi sull’argomento, dove narrativa, pittura e cinema convergono nel segno della percezione dell’insieme, dell’unità melodica del film conseguita dal montaggio. Nel cinema, tipica arte fenomenologica, il senso di un film è incorporato al suo ritmo come il senso d’un gesto è immediatamente leggibile nel gesto, e il film non vuol dire nient’altro che se stesso. La ricostruzione del momento cruciale della riflessione teorica, in cui si avvia l’incontro tra cinema e filosofia, si apre alle attuali esperienze degli schermi che trasformandosi e moltiplicandosi disegnano le mappe delle nostre relazioni con il mondo. (pp. 160, euro 16,50).

A CURA DI GEMMA LANZO

IL CINEMA DI EMIDIO GRECO

EDIZIONI DEL SUD

Nessuno sapeva muoversi meglio di Emidio Greco nei labirinti della politica culturale, nei bizantinismi della legislazione cinematografica, nelle strategie dell’associazionismo. Perché pochissimi autori di cinema avevano come lui il senso pieno degli obblighi della professione di regista nel contesto della nostra società. Quante volte ci è capitato di consultarlo, di ricorrere alla sua esperienza e alla sua dialettica per capire un problema o una situazione del far cinema in Italia. Nel suo inconfondibile sorriso, nella eleganza della risposta, nella disponibilità a farsi coinvolgere, si capiva benissimo che sapeva di essere unico, che solo lui poteva farci uscire dall’impasse con la chiarezza e l’umiltà del vero intellettuale. Perché Emidio era un intellettuale imprestato al cinema come conferma anche tutta la sua intensa attività televisiva che meriterebbe di essere più conosciuta. E poi naturalmente era anche – o prima di tutto – un autore che da “L’invenzione di Morel” a “Una storia semplice”, da “Il consiglio d’Egitto” a “Notizie degli scavi” ha messo in scena un suo mondo disincantato e inconfondibile, segnato dal rapporto con la letteratura, che ci aiuta a capire noi stessi e gli altri, ci aiuta a vivere giorno dopo giorno. (pp. 130, euro 15,00).

STEFANO IACHETTI

LA PAURA CAMMINA CON I TACCHI ALTI

IL FOGLIO

Quella di Stefano è un’autentica passione per il thriller italiano degli anni settanta, anzi per le loro protagoniste. Belle, bellissime, così così, ma sempre eleganti, sensuali, calamitose. Vittime o assassine, perfide o dolcissime, sullo schermo apparivano donne libere, disinibite, vicinissime ma irraggiungibili. L’idea di andarle a cercare più di trent’anni dopo per intervistarle suggerisce un punto di vista nuovo sul giallo italiano, su cui esiste una pubblicistica acriticamente apologetica, ma niente di simile a questo libro che spinge lo sguardo fin dentro le quinte, sul set e al di là del set, nelle tante storie personali che assieme a quelle dei produttori, registi e sceneggiatori animano il contesto in cui il genere ha potuto affermarsi. L’effetto straniante dell’indagine è che mentre allora sullo schermo eravamo noi a guardarle – da Martine Brochard a Dagmar Lassander, da Gabriella Giorgelli a Orchidea De Santis, da Rosalba Neri a Edwige Fenech, da Erika Blanc a Daniela Giordano, Femi Benussi, Dalila Di Lazzaro, Dominique Boschero – ora sulla pagina sembra che siano loro a guardarci per farci condividere le loro storie e interrogarci sul nostro labile statuto di fans. (pp. 280, euro 18,00).

DENIS LOTTI

MUSCOLI E FRAC

RUBBETTINO

Cosa c’è di più esplicito sulle contraddizioni del divismo maschile dello sguardo ambiguo di Rodolfo Valentino che chiude il libro? Ma quando poco prima si materializza l’immagine di Mussolini, le mani sui fianchi, la mascella prominente, lo sguardo allucinato, non ci vuole molto a convincersi del ruolo che il modello deve aver avuto sugli uomini dell’epoca, ma anche sulle donne, senza dimenticare ciò che D’Annunzio, primo divo, evoca nell’immaginario del pubblico, mentre l’aura dannunziana lascia il segno nella produzione d’anteguerra. Se il protodivismo s’intreccia indubbiamente col mattatorismo teatrale pronto a passare al cinema, l’aura dandy di Mario Bonnard è centrale nel cinema mondano delle dive sempre a caccia del cavalier servente di turno. Sta a sé strepitosa e inimitabile, la maschera scavata di Emilio Ghione che con Za la Mort racconta un’altra storia, dove la performance dell’attore e l’invenzione del genere avrebbero meritato uno sviluppo maggiore e un più vasto credito. Quando arriva Maciste a dorso nudo o addirittura in frac non ci resta che cedergli la scena perché il protagonista è lui. Capace di tutto, anche di lasciare sul luogo del delitto il suo biglietto da visita con tanto di indirizzo: “ Maciste Detective, Itala Film, Torino”. (pp. 228, euro 14,00).

A CURA DI DANIELA PERSICO E ALESSANDRO STELLINO

TO THE WONDER

FILMIDEE

Se vogliamo incontrare i “ cineasti del futuro”, la palla di cristallo non serve a nulla, è meglio partire dallo spiazzamento prodotto da quanti stanno ridefinendo il concetto stesso di cinema. L’avvento del digitale ha segnato una svolta nelle pratiche della realizzazione cinematografica, moltiplicando gli interrogativi sulle teorie classiche che, spesso a torto o a ragione considerate superate, trovano invece singolari e inattese conferme nelle nuove tecnologie. Sono di grande interesse al riguardo le dichiarazioni del catalano Albert Serra che si muove tra classicità e sperimentazione in un fitto intreccio con le fonti storiche e letterarie, da Don Chisciotte a Luigi XIV, privilegiando una messa in scena sofisticata, dove l’improvvisazione coinvolge in prima persona gli attori. Miguel Gomez, l’ispirato autore portoghese di “ Le mille e una notte”, richiama l’attenzione sul rapporto con lo spettatore con il quale si stabilisce un patto per cui deve essere disponibile a entrare nel film, a trovare un modo per accedervi. Ogni sua opera sembra più o meno esplicitamente richiamarsi al “Mago di Oz”, scisso tra il mondo della fiaba “al di là dell’arcobaleno” dai colori sgargianti che è poi il cinema, la finzione, e il polveroso e monocromatico Kansas da cui tutto ha inizio.(pp. 238, euro 15,00).

STEFANO SCIACCA

PRIMA E DOPO IL NOIR

FALSOPIANO

Nell’affollato scaffale del noir, il libro si presenta con le ambiziose caratteristiche dell’originalità. Non solo perché come annuncia il titolo si occupa del “prima” e del “dopo” del noir, ma perché non trascura l’esame del corpus dei più importanti film del genere dagli anni quaranta alla fine dei cinquanta, senza dimenticare le successive rivisitazioni in chiave nostalgica come le numerose riproposizioni di alcuni dei tratti tipici dell’età dell’oro del genere. Ma la mappa che l’autore viene disegnando è più vasta perché va dalla rivoluzione realistica ottocentesca alla crisi tedesca del primo dopoguerra, dall’avanguardia surrealista al fantastico sociale del cinema francese tra le due guerre, dalla tradizione italiana alla “guerra sociale dei dimenticati”, dalla narrativa “hard boiled” all’interferenze con il maccartismo. Se non dimentica la contaminazione con gli altri generi, in particolare col western, è soprattutto alle relazioni tra il cinema e le altre arti – teatro, musica, letteratura, pittura – che si affida per tracciare lo scenario in cui collocare i percorsi noir dal contesto urbano al “caper film”, dalle coppie dannate alle suggestioni dell’angoscia, dove la chiave ermeneutica d’ispirazione sociale s’intreccia con la cinefilia.(pp. 280, euro 22,00).

GIANNI OLLA

A MORTE I PADRI

CUEC

Il ’68 quasi quarant’anni dopo? Saggio e schede del libro guardano al prima e al dopo del “joli mai”, finendo col fare la storia di un decennio centrale nel cinema a cavallo tra il ’60 e il ’70, in cui sono cambiati i rapporti tra cinema popolare e cinema d’essai, tra cinema americano e cinema mondiale, ma anche le abitudini degli spettatori sempre più catturati dalle televisione e non ancora succubi delle nuove tecnologie. Il panorama – tra Italia, Francia, Germania, Gran Bretagna, Brasile, Ungheria, Cuba, Giappone – non potrebbe essere più ampio, adeguato all’internazionalità del fenomeno. Quante vecchie conoscenze tra i film presi in considerazione. Non pochi titoli di Bellocchio, Bertolucci, Godard, Kramer, Marker sono in qualche modo obbligati. Non meno opportuno sembra l’inserimento di film molto popolari all’epoca come “Il piccolo grande uomo” e “Soldato blu”, che ai margini del fenomeno sono in grado di suggerire le novità del cinema mainstream. Ma anche del bellissimo “Faces”, incalzante affondo nel privato della coppia, e del delirante “Nostra Signora dei Turchi”, sbeffeggiante e iperbolica saga surrealista, due film che in modo diversissimo rivendicano la loro ineludibile politicità. (pp. 230, euro 15,00).