In principio era Abbot and Costello Meet Frankenstein. Come dimostra l’omonima commedia orrorifica di Charles Barton (1948), in cui Gianni e Pinotto se le devono vedere, in un colpo solo, con Dracula, Frankenstein e l’uomo lupo (mostri da cui la Universal aveva già tratto fortunate serie di film), l’idea di fare incontrare tra di loro, in una stessa storia, i protagonisti di franchise diverse era parte della strategia produttivo/finanziaria delle Major hollywoodiane ben prima della fumetto-dipendenza i cui è intrappolato l’attuale cinema d’azione degli studios.

Nel bene, come provano i migliori film nati dall’abbinamento tra Marvel e Disney, questi incontri/scontri di personalità, mitologie e immaginari diversi, creano lo spunto per nuove trame, l’introduzione di nuovi personaggi e l’approfondimento di quelli già noti; forti della familiarità del pubblico con il soggetto, permettono agli autori di declinarlo sperimentando con toni emozionali e stilistici diversi; infine, allargano i confini della testualità di un film, innescando con lo spettatore un’esperienza del cinema simile a quella più innocente che esisteva con i serial degli anni ’20 e ’30. Contrariamente al credo dominante della critica, il riciclaggio da cui si nutre oggi gran parte dell’action movie hollywoodiano ha delle cose da dire, da dare, e può essere divertente.

Nella sua accezione peggiore questa strategia produce film come Batman vs Superman: Dawn of Justice, una tortura di due ore e mezza, aggravata dalla musica implacabile di Hans Zimmer, da una pretenziosità ingiustificabile, un’assoluta mancanza di umorismo e da un’assenza totale di affinità spirituale con l’immaginario e la mitologia dei personaggi.

L’incontro epocale tra i due supereroi in calzamaglia più amati del mondo, costato ufficialmente 250 milioni di dollari, con altri 150 spesi per il marketing, doveva essere meglio di così.

Il primo passo falso la WB lo aveva fatto trasferendo dalle mani amorevoli, attente, di Bryan Singer (che con Superman Returns, del 2006, aveva riletto in chiave esistenziale, malinconica, la leggera esuberanza del film originale, diretto da Richard Donner) a quelle molto più ruvide di Zack Snyder, sotto la supervisione di Christopher Nolan, che, con Batman Begins aveva dato allo studio uno dei più fortunati reboot della storia. Dalla collaborazione tra il regista di 300 e quello di Interstellar, coadiuvati dallo sceneggiatore abituale di Nolan, David Goyer, era nato l’infelice L’uomo d’acciaio, un film greve del senso importanza (di se stessi) con cui Goyer e Nolan si avvicinano all’universo dei fumetti.

Stessa monumentalità fascistoide, stessa cupezza cosmica, stesso fragore visivo privo di coerenza, di quello che lo ha preceduto, il nuovo film di Snyder inizia con una sequenza delle origini di Batman –i genitori uccisi, la caverna dei pipistrelli….Cut e Bruce Wayne adulto (Ben Affleck –meglio che in Daredevil) spettatore impotente della battaglia tra Superman e Zod assiste alla parziale distruzione di Metropolis e del suo palazzo d’uffici, diretto da un anziano signore che gli sta a cuore. Prima di conoscersi, Batman e Superman sono già nemici, e così i loro alter ego, Bruce Wayne e Clark Kent. Alla (temporanea?) rivalità tra l’uomo d’acciaio e l’uomo pipistrello su cui corre il film, Goyer aggiunge una spiccia riflessione sul vigilantismo (che aveva esplorato in modo più interessante in Il cavaliere oscuro), introducendo la figura di una senatrice (Holly Hunter) e alcuni riferimenti cristologici già presenti in L’uomo d’acciaio.

Tra gli spunti «di cronaca» che Goyer aggiunge al mix, un gruppo di mercenari russi e, al limite dell’offensivo, un uomo bomba. Nei panni di Lex Luthor, Jesse Einsenberg è una combinazione mefistofelica tra il suo Mark Zuckenberg in Social Network e Tony Stark. Herny Cavill, Amy Adams, Laurence Fishburne e Diane Lane, riprendono i ruoli di Clark Kent/Superman, Lois Lane e del direttore del «Daily Planet» Perry White.

Mentre Jeremy Irons (al posto di Michael Caine) è una versione molto grillo parlante del tecno-maggiordomo Alfred.
In attesa di avere un film tutto dedicato a lei (estate 2017), Wonder Woman appare in alcune scene, interpretata dall’attrice israeliana Gal Gadot. Insieme a Wonder Woman, e a Suicide Squad (estate 2016), tra oggi e il 2020, saranno dieci gli adattamenti hollywoodiani tratti da fumetti DC. Il che è una realtà deprimente solo se sono come questo…