Il 5 marzo è assai probabile che gli elettori consegneranno il paese al populismo. Il termine è vago e va usato con parsimonia. Diciamo che populisti sono coloro che fanno a pugni coi principi del governo democratico: pesi e contrappesi, diritti umani, rispetto delle minoranze.

In Italia abbondano e a ben vedere di populismi ce n’è almeno tre: quello criptofascista e razzista di Lega e di FdI, quello digital-esoterico di 5 Stelle e quello affaristico-televisivo di Silvio Berlusconi.

A qualcuno conviene dimenticarlo: ma è da un quarto di secolo che nella straripante letteratura internazionale sul populismo Berlusconi ha sempre il suo capitolo.

In Italia il populismo è maggioritario da tempo. Nel 2013 le formazioni testé definite populiste erano al 55 per cento. Svanita la modesta paratia costituita dalla lista Monti, che aveva preso il 10 per cento, stavolta i sondaggi annunciano che le due formazioni di centrosinistra, Pd e L&U, più Potere al popolo, non arriveranno messe assieme al 30 per cento conseguito nel 2013 dallo schieramento guidato da Bersani.

Allora la droga del cosiddetto Porcellum aveva occultato la verità. Adesso, l’acqua del proporzionale, pur adulterata da una caricatura maggioritaria, non consente illusioni. Fotografa gli umori del paese. Dove centrosinistra e sinistra sono minoritari.

Rallegriamoci anzitutto con gli apprendisti stregoni della Seconda Repubblica, della governabilità e del maggioritario. Nel 1992 l’etichetta populista poteva essere attribuita a Msi e Lega: il 12 per cento dell’elettorato. A furia di bistrattarle le regole democratiche si vendicano, o provano quanto siano delicate.

Da questo imbroglio sarà arduo cavare un governo. Meglio, se Berlusconi e sodali otterranno la maggioranza dei seggi – basta a quanto pare il 40 per cento – c’è da giurare che un governo lo faranno, accantonando ogni divisione per spartirsi il potere. Per contentare l’Europa si daranno una calmata sulle questioni economiche. Sul resto, specie sull’immigrazione, nessuno ha lezioni da impartire. Sui diritti umani Ungheria, Austria, Polonia dimostrano quanto l’Europa sappia tollerare. Purché la governabilità sia tutelata. Mal che vada, la troika ha le valige pronte da tempo.

Se il populismo di destra non vincesse da solo, potrebbe accadere ciò che gli interessati smentiscono, benché nessuno gli creda. In nome dell’emergenza, si traccerà un confine, quanto sia posticcio è inutile dirlo, tra populismo buono e populismo cattivo, o si fingerà che Berlusconi non sia populista, e nascerà un governo Renzi-Berlusconi. Ma sono possibili altre varianti. Chiuse le urne, se alla maggioranza dei seggi non mancasse troppo, Berlusconi potrebbe ad esempio intraprendere una campagna acquisti.

In queste condizioni, da qualche parte nel centrosinistra si ripropone la teoria del voto utile o della difesa democratica a beneficio del Pd. L’ha riproposta Prodi e dal suo confortevole esilio parigino Enrico Letta, ambedue sponsorizzando Gentiloni, cioè il renzismo in guanti bianchi.

È una truffa: sono pronunciamenti a favore del matrimonio tra il Pd e Berlusconi, già indicato da Scalfari come il male minore. È ovvio, viceversa, che ogni voto in più a Liberi & Uguali è d’imbarazzo a questa eventualità. Le cose si farebbero decisamente più complicate, com’è giusto che siano. Ma almeno, specie se pure Potere al popolo superasse la soglia, resterebbe un presidio di sinistra donde ripartire.

In un articolo appena apparso sul Guardian, James Newell, un bravo politologo inglese che ben conosce l’Italia, ha argomentato che la condizione della sinistra italiana non è diversa da quella delle altre sinistre europee, che hanno abbandonato le classi lavoratrici e ne sono state abbandonate.

L’analisi è impeccabile. Ma merita due note.

Solo in Italia l’unica alternativa è il populismo. Circa l’abbandono delle classi lavoratrici: le sinistre socialiste non solo hanno smesso di farsi portavoce delle classi lavoratrici e curarsi della loro condizione, ma soprattutto hanno rinunciato a costituirle politicamente e sociologicamente. Di per sé le classi lavoratrici non esistono, tranne che qualche partito o movimento provveda a aggregare le esperienze individuali e dia loro un senso condiviso. Non restano altrimenti che individui, poveri, emarginati, perdenti, disorientati, che resistono come possono, anche votando i populisti.

Il Pd renziano ha con orgoglio rivendicato il suo spregio per le classi lavoratrici, ha sbeffeggiato i sindacati, s’è schierato con Marchionne. Illuso di compensare con l’appeal mediatico del suo capo.

Gli avvertimenti non erano mancati. Dopo l’effimera fiammata delle europee, l’impopolarità, come la definisce Newell, del Pd e di Renzi è cresciuta senza tregua, elezione dopo elezione. Ma ha caparbiamente insistito.

Ora, gli italiani pagheranno i danni e occorrerà capire come rimettere assieme i cocci della sinistra.