Qual è il musicista istrionico che amava vellicare il proprio pubblico e stuzzicarlo fino a trasformarlo in un’onda collettiva ruggente? Chi era il virtuoso che incantava con le sue corde, con gli abiti strani, i capelli che vorticavano, e un modo di stare sul palco che lo rendeva magnetica icona? Uno, anzi, due. L’uno antenato dell’altro, o forse il contrario, se potessimo permetterci il lusso di una macchina del tempo fantascientifica. Cominciamo a risolvere il piccolo (non) mistero. C’è un’immagine che rende conto del tutto, con una comunicazione iconografica diretta e inconfondibile. C’è un mano destra magra, ossuta, che al dito medio porta un anello in cui si vede la fiammeggiante capigliatura di Jimi Hendrix, contornata da raggi che irradiano dalla testa la bordo dell’a nello. La mano scarna impugna con forza nervosa un violino. Il fondo del quattro corde è avvolto dalle fiamme. E’ Paganini. Ed è Jimi Hendrix. Basterebbe andare col ricordo alle volte che il mancino di Seattle incendiò le sue chitarre, in una sorta di rito purificatore finale. E Paganini alle fiamme (metaforiche) cera ben abituato, frequentando pentagrammi estremi assai cari a Lucifero, o, almeno, al mito diabolico che alimentava, e fracassando spesso le sue corde, tese allo spasimo.

Da tempo Genova meditava di tributare un omaggio vero e completo al genio della performance dell’Ottocento, l’uomo, il compositore, l’anticipatore di atteggiamenti sul palcoscenico che il modo della popular music, cent’anni dopo, avrebbe quasi istituzionalizzato. Un omaggio tardivo risarcimento al fatto di avergli distrutto la casa natale per bieca speculazione, ed aver (almeno) mantenuto il nome svettante in un concorso internazionale per violinisti e nell’intitolazione e dell’eccellente Conservatorio. L’idea di accostare Paganini a Jimi Hendrix è venuta ad un protagonista delle più nobili note d’autore italiane e liguri: Ivano fossati . Da tempo in un buen retiro che conosce parecchi momenti di intelligente intervento sulle cose della musica. Interpellato dagli ideatori della mostra che dal 19 ottobre si apre a Genova, Paganini Rockstar, fino al prossimo 18 marzo a domanda su quale fosse il personaggio più affine da accostare al prodigioso violinista, l’autore di “Buontempo” ha risposto: Jimi Hendrix.

Una risposta semplice e “naturale”, ha dichiarato con grande understatement Fossati presentando la mostra, anche se la sorella di Jimi Hendrix, presente all’evento ( e amministratrice della fondazione che gestisce l’immenso lascito del Mancino di Seattle), ha parlato di un “accostamento geniale”. E probabilmente è davvero così: perché chi ha costruito il mito di se stesso, con tenacia, applicazione, anticonformismo, virtuosismo tecnico ai limiti del trascendentale, e un carisma innegabile e ben dosato, nell’accattivarsi le platee plaudenti coi numeri grossi assomiglia in maniera clamorosa a tutti e due, Niccolò Paganini e Jimi Hendrix. Due figure uniche che sbocciano in secoli diversi , in temperie culturali, politiche e sociali non paragonabili, eppure stranamente affini.

Dunque, una mostra per Paganini “rockstar” viva, palpitante, con un singolare percorso che porta il visitatore fisicamente in un continuo viaggio davanti a un palco e poi dietro le quinte (un “teatro esploso” , è stato definito) , e con una sostanziosa propaggine dedicata la confronto delle due figure, con buona messe di memorabilia hendrixiane. Pagani Rockstar, la Mostra è stata ideata da uno dei maggiori studiosi di Paganini, Roberto Grisley, purtroppo scomparso un paio di mesi fa senza riuscire a vedere la “sua” mostra, da Raffaele Mellace e da Ivano Fossati. Nel comitato scientifico si trovano tra gli altri, Roberto Iovino, direttore del Conservatorio di Genova, e Pietro Leveratto, che del Conservatorio dirige il dipartimento di Jazz. Ed è appena il caso di ricordare che il mondo del jazz fu il primo ad accorgersi del vero genio di Hendrix: da Miles Davis a Gil Evans. E’ una mostra emozionante ed emozionale, e che merita visita attenta avendo a disposizione parecchio tempo , perché l’obbiettivo è far “vedere” la musica e la progressiva nascita del mito Paganini attraverso un percorso narrativo tematico suddiviso in sette sezioni, che esplorano talento, virtuosismo, espressività. Il percorso è inframmezzato da bacheche che raccolgono altri materiali, in sostanza facendo nascere dalle storie da ascoltare e vedere in mille citazioni e fonti che avvolgono lo spettatore in altre storie, all’infinito.

Segnaliamo in particolare che nella sezione “Il Virtuoso”, Sala tre, si può assistere su grande schermo a un’inedita performance di danza donata da Roberto Bolle, che interpreta il Capriccio 24 di Paganini su idea coreutica di Mauro Bigonzetti. C’è poi una sezione Soundlab, uno spazio per la sperimentazione sonora pensato per le scuole, le famiglie, gli appassionati: una sala con postazioni che permettono di verificare dal vivo come “funziona” un violino e una chitarra elettrica, e fare molti altri seri giochi con la musica Hendrix. L’ottava sala è per Hendrix, il concerto: la sera del 18 giugno 1967 al Monterey Pop Festival, quando il chitarrista afroamericano incendiò la sua chitarra. Di Hendrix si vedono esposti abiti originali di scena, coloratissimi e “psichedelici”, testi manoscritti, e molto altro. Forse, si può solo opinare della scelta di far commentare su grande schermo la musica di Hendrix anche da Morgan e Gianna Nannini: non esattamente specialisti di Hendrix, né delle note afroamericane. Nulla, però, può eguagliare l’emozione semplice della sala finale, dove non ci sono orpelli tecnologici, ma due teche affiancate: in una c’è il “cannone” di Paganini, il violino favorito, nell’altra un frammento colorato della Fender sacrificata da Hendrix il 18 giugno. Paganini rockstar è anche una serie di eventi, incontri, conferenze, concerti collegati: fino ad aprile 2019.