Paese che vai, precarietà che trovi. Le quarantanove mila persone che hanno lasciato l’Italia nell’ultimo anno (il 39% su 124.076 da gennaio a dicembre 2016) hanno un’età compresa tra i 18 e i 34 anni, un quarto ha tra i 35 e i 49 anni. In un solo anno gli «expat» in queste fasce d’età sono aumentati, rispettivamente, di oltre 9 mila e 3.500 unità.

I MOTIVI li ha descritti il rapporto 2017 «Italiani nel mondo», presentato ieri dalla Fondazione Migrantes. Preponderanti sembrano essere le condizioni socio-economiche insostenibili nel paese del Jobs Act, una repubblica costruita sul lavoro informale e in nero dove l’85% delle nuove assunzioni è a breve e brevissimo termine (i dati sono dell’Inps).

Questo comporta una prima tipologia di mobilità: quella economica.

LA CHIAMANO «mobilità da spinta» e vede protagonista, in maggioranza, le persone con bassa scolarizzazione e mestieri poco qualificati. E non tutti sono giovani: il 9,7% dei 124 mila emigrati hanno tra i 50 e i 64 anni, rimasti senza lavoro e con enormi difficoltà a trovarne uno, mantenendo la famiglia. «Solo loro – ha detto don Giovanni De Robertis, direttore generale di Migrantes – che una volta arrivati nel paese di destinazione sono sfruttati al limite dell’umano». Ad esempio, a Londra dove «ogni mese un italiano si suicida». E, non dovrebbe sorprendere il fatto che queste persone «sono sfruttate da altri nostri connazionali».

BASTEREBBERO questi riferimenti – ricorrenti in altre capitali europee mete dell’emigrazione economica degli italiani – per demolire almeno un mito costruito negli ultimi anni: all’estero non ci sono solo i «cervelli», ovvero ricercatori universitari. E per nessuno c’è il paradiso.

A volte l’inferno è popolato da persone che parlano la stessa lingua. Accade a tutti, e accade anche agli italiani.

Poi c’è la «mobilità del desiderio». Così ieri l’ha definita De Robertis: fare esperienze, incontrare persone, progettare una vita «non in maniera tradizionale».

Esiste la mobilità del lavoro culturale e cognitivo, quella che la retorica vittimistica e patriottarda, condita da riferimenti al «capitale umano» «bene della nazione», definisce «fuga dei cervelli».

Ci sono i «cittadini del mondo», giovani ragazze e ragazzi attratti dai grandi centri come Berlino, Barcellona o Parigi. «A fronte di una situazione in cui si ha più difficoltà ad aprire varchi, questi ragazzi cercano le risposte altrove» ha commentato il segretario generale dei Cei Nunzio Galantino.

L’EMIGRAZIONE è anche un progetto esistenziale che accomuna i giovani, i meno giovani e i genitori over 65 che accompagnano i figli (il 5,2% dei casi). In questi casi il trasferimento non è individuale, ma comporta la reinvenzione della vita di un nucleo familiare allargato.

DAL RAPPORTO Migrantes si può finalmente comprendere che anche gli italiani sono migranti economici, proprio come coloro che arrivano sulle nostre coste dall’Africa. Con una differenza decisiva: gli italiani fanno parte di uno Stato accettato nel consesso dei dominanti e ai loro cittadini è permessa la libera circolazione. Nel caso degli altri questo non è permesso e finiscono in un lager libico.

LA FRONTIERA si muove tra due poli: chi fa circolare i capitali e chi è mobilitato dai capitali. In mezzo esiste un’ampia zona intermedia dove si sovrappongono diverse tipologie della mobilità della forza lavoro soggetta nel paese d’arrivo, come in quello di partenza, a quella che il filosofo francese Etienne Balibar ha definito «inclusione differenziale». Questo movimento è sempre più incastrato in una «politica dei muri».

IN MAGGIORANZA i nuovi emigranti sono uomini (55,5%) e sono celibi (e nubili): il 62,4% dei casi. Altra sorpresa: in maggioranza partono da regioni insospettabili, almeno a sentire la retorica che distingue tra un Nord «avanzato» e un Sud «arretrato»; la Lombardia è in testa con quasi 23 mila partenze nel 2016; segue il Veneto con 11.611. Terza viene la Sicilia (11.501), seguita da Lazio (11.114) e Piemonte (9.022).

Si parte dalle metropoli: Roma, Milano, Torino e Napoli. E anche da centri come Brescia: 3 mila partenze. E da province come Varese: 2.289.

IL PROCESSO dell’emigrazione è strutturale. Negli ultimi dieci anni, si legge nel rapporto Migrantes, è cresciuto costantemente. Nel 2006 gli italiani residenti all’estero erano poco più di 3 milioni, oggi sono 4 milioni e 973 mila, l’8,2% degli oltre 60,5 milioni di residenti in Italia.

La Germania è la metà preferita, anche se l’Inghilterra del Brexit macina record: nel 2016 ci sono stati 24.771 iscritti in più all’Aire.