Ha il merito di promuovere un interessante dialogo con sé stessi il libro Il bosco interiore. Vita e filosofia a partire da Thoreau, scritto da Leonardo Caffo per le edizioni Sonda (pp.110, euro 12), ora tornato in una nuova edizione. Il pensiero del filosofo statunitense, che ci invita da più di due secoli a godere del midollo della vita, sono attraversate da Caffo in una passeggiata tra i grandi temi dell’oggi, dagli ogm alla Tav, dal ruolo che dovrebbero avere le università al compito che dovrebbero assumere gli intellettuali. Una camminata in cui il piede, che pure appoggia nelle crepe del reale, cerca di trovare nelle suggestioni della filosofia trascendentale la forza di farsi andamento alato.
L’operazione riesce nell’intento di farci ripensare criticamente all’intero paesaggio che ci è dato abitare ed è efficace nel desiderio di ricordare quanta responsabilità ognuno di noi ha nella costruzione materialistica di questo paesaggio.

INTELLIGENTE è l’assetto complessivo della rilettura di Thoreau nell’ottica di uno smontaggio della ottusa illusione dell’antropocentrismo, veleno della storia che, come indica Caffo, dispiega la sua potenza distruttrice tanto con riguardo alla vicenda delle colonizzazioni (i nativi d’America orribilmente ridotti ad abusivi della terra) quanto in relazione alla terribile storia dei rifiuti tossici che avvelenano la zona nord est di Napoli fino a Caserta, dove l’incidenza dei tumori non smette di denunciare che il sinistro esito di ogni inquinamento consiste nella negazione della vita.
Possiamo, per vaccinarci, coltivare allora un bosco interiore, ci dice Caffo ricordando Thoreau, che alla natura selvaggia ha consacrato anni di visioni incontaminate. Il bosco è una immagine significativa, la attraversano molti filosofi dell’ecologia, per spiegare come la vita stia proprio in questo concerto di singolarità dove ognuno svolge il suo ruolo, dove ognuno suona il proprio strumento, per regalare alla storia la melodia di un insieme che si muove in armonia. «Il bosco – scrive Caffo – è ovunque. È un senso leggero che da dentro muove verso fuori; è il filo d’erba che si arrampica dal marciapiede in centro città. Tutto è in ogni altra cosa, la capanna di Thoreau e il suo bosco non sono isolati su un lago; sono il motore di un automobile, un ospedale psichiatrico, una partita a pallone, un primo bacio, un ultimo abbraccio». In questo Thoreau è un avvertimento magnifico e lo si trova in tanti pensatori di questo tempo, come Emanuele Coccia, che nel suo La vita delle piante tesse un’ode alla «metafisica della mescolanza».

MENO RIUSCITI sono alcuni passaggi, forse a dimostrazione che un discorso su tutto è sempre un discorso che reca una insidia. Quando Caffo si avventura nell’esplorazione di cosa sia l’arte, risolvendo la domanda nella definizione «è ciò che infonde, al di là delle convenzioni, una sensazione di unità con il resto delle creature viventi», espunge dal ragionamento tutto ciò che non è rappresentazione o imitazione della natura.
Una operazione che se compiuta materialisticamente ridurrebbe grandemente e dolosamente le esposizioni d’arte, a partire dal «cavallo appeso a penzoloni dal tetto, ovvero l’opera Novecento di Maurizio Cattelan» di fronte alla quale, secondo Caffo, Thoreau subirebbe «uno shock».
La conoscenza e l’elevazione, tuttavia, proseguono spesso per shock e, anzi, proprio nello sconnesso della percezione spesso deflagrano e si irradiano. La parte dedicata al rifiuto del lavoro, nella quale si scompone l’insensatezza del suo paradigma, culmina nella sagacia definizione, «una forma debole di schiavitù».

AFFERMAZIONE senza scandalo se pensiamo al precariato gratuito, ai tirocini gratuiti, al lavoro senza garanzie e che non serviva confermare facendo riferimento alla Grecia aristotelica, che di schiavi, ahinoi, pullulava. Da notare e pensare l’avvertimento ai tranelli di un pensiero solo altruistico che, deflagrando nel fanatismo del martirio, finisce per incarnare la diabolicità del potere. Sorride Thoreau: «Se sapessi che un uomo sta venendo da me per farmi del bene, correrei a mettermi in salvo». E noi con lui.