Il ministro Padoan, bontà sua, si scusa: sua e solamente sua la colpa se la legge di bilancio è arrivata in Parlamento con una quindicina di giorni di ritardo. Non se ne dolgano i componenti delle commissioni bilancio di Camera e Senato, riunite per ascoltare infine la sospirata illustrazione della manovra. Una giustificazione il penitente però la adduce: «Questa legge di bilancio è uno strumento potente ma complesso».

È il solo passaggio in cui il ministro dell’Economia non rivaleggia in trionfalismo col presidente del consiglio. Per il resto è tutta una marea di elogi per la manovra e per il governo che l’ha partorita. L’Italia sta «fronteggiando al meglio eventi di eccezionale portata». Si attendono ringraziamenti non solo dall’Italia ma dall’Europa tutta. Le tasse scendono: grazie alla manovra nel 2017 si pagheranno 23 miliardi e mezzo di meno. Parola sua. Padoan è convinto che anche l’Ape, la pensione anticipata che per ora è solo un esperimento, si dimostrerà un successo. Già che ci si trova quantifica anche il prezzo per gli anticipanti: ci rimetteranno giusto giusto un quinto della pensione. Un regalino da usurai.
La crescita c’è e si sta «irrobustendo gradualmente». Certo che potrebbe andare meglio ma «gravano sull’azione del governo fattori esterni»: le sanzioni contro la Russia, la Brexit, la crisi dei Brics. Però anche la quinta colonna ha le sue colpe: «Pesa l’incertezza politica». Le gravi responsabilità del fronte del No non si limitano a questo. Prendi lo spread che solo a nominarlo uno tocca ferro: stava scendendo che era una bellezza, neanche a dirlo «in conseguenza della politica economica del governo». E invece ecco che risale, perché «nel mercato ci sono timori che questa azione si interrompa». Altro che gufi, qui si tratta proprio di sabotatori.

Al sodo: la manovra è di 26,7 miliardi per il 2017, 23,3 miliardi per il 2018 e 24,4 miliardi per l’anno successivo. Ma se quest’anno ben 12 arriveranno dal debito, l’anno prossimo l’incresciosa voce sarà dimezzata, scivolando a 6,6 miliardi e nel 2019 precipiterà a 2,8 miliardi. Il resto arriverà «da maggiori entrate e minori spese». Se non ci si mettono di mezzo i gufi, il ministro vede rosa.

Gufeggia la Cgil, che non condivide l’ottimismo del governo. E giudica la manovra pessima: non corrisponde affatto alle urgenze e alle necessità del Paese». Non è espansiva. Non aiuta la crescita. Non allevia le disparità sociali. Peggio che andar di notte quando si arriva all’occupazione femminile e giovanile. E c’è anche il rischio di dover correggere con una manovrina bis in primavera.

Un po’, però, nonostante la solidarietà ferrea, gufeggia persino Confindustria. Tutto bene, certo. Però va detto che la crescita «è lenta e incerta». Ma niente paura, attenua il verdetto il direttore generale Marcella Panucci: dalla fine dell’estate le cose vanno meglio. Però, prosegue Panucci, le misure di spending review, quelle «minori spese» di cui parla Padoan non è che si vedano tanto: «Appaiono complessivamente poco incisive».