Il messaggio che arriva all’Italia dalle «Previsioni d’inverno» della Commissione europea è fermo ma conciliante, e in conferenza stampa il commissario all’Economia Moscovici aggiunge qualche cucchiaiata di miele. Ma la sostanza non cambia: la manovra deve essere fatta, e nei tempi stabiliti. Nessun ultimatum, nessuna insistenza a muso duro perché le prime misure vengano adottate entro il 22 febbraio, quando arriverà il «Rapporto sul debito», passaggio per l’Italia molto delicato. Moscovici rassicura: «Noi incoraggiamo il governo italiano ad adottare queste misure al più presto, ma è assolutamente sbagliato parlare di ultimatum. Stiamo discutendo in un clima costruttivo».
La Commissione ha scelto la via più diplomatica: complimentarsi con il governo italiano per la «scelta» di obbedire all’ordine europeo di procedere con quella manovra aggiuntiva che il governo stesso voleva a tutti i costi evitare. Ma così facendo, tra le righe, confermare anche quanto da quella scelta non si possa tornare indietro. «La Commissione – recita infatti il testo – prende nota positivamente del pubblico impegno preso dal governo di adottare misure di bilancio aggiuntive pari allo 0,2% del Pil entro il mese di aprile 2017». Nel merito delle misure in questione, la Commissione non garantisce niente: «Saranno prese in considerazione quando ci saranno dettagli sulle disposizioni specifiche». È un invito, garbato ma esplicito, a fare presto.

Per l’Italia i conti sono in realtà un po’ più rosei del previsto. Il problema di fondo è la crescita «stabile ma modesta»: la più modesta non solo di tutta l’Eurozona ma anche dell’intera Unione. Colpa, secondo Bruxelles, delle «debolezze strutturali», del «lento aggiustamento del sistema bancario», passaggio che lascia intravedere parecchi scogli per il decreto salva banche, sul quale l’Europa ha notoriamente molte perplessità, ma anche dall’«incertezza politica». È appena una mezza riga: sufficiente per far sapere che a Bruxelles e a Berlino, l’idea che l’Italia affronti una fase tanto delicata in piena campagna elettorale e poi alle prese con la probabilmente difficile composizione di una maggioranza parlamentare non piace affatto.
Pur senza mollare di un centimetro, le «Previsioni» di ieri portano vistoso il segno delle colombe, del presidente Juncker, di Moscovici, probabilmente della stessa Merkel: i sostenitori della politica della «mano tesa» nei confronti dell’Italia. Non significa che i falchi si siano arresi. Proprio ieri il vicepresidente della Commissione Dombrovskis ha lanciato l’ennesimo siluro: «Con l’inflazione che sta salendo non possiamo sperare che lo stimolo monetario attuale duri per sempre. I paesi con elevati livelli di deficit e debito debbono persistere nello sforzo di ridurli». È un annuncio dell’imminente offensiva contro le politiche espansive di Draghi e un pessimo segnale per l’Italia. Nessun ultimatum, ma le pressioni perché Roma rabbonisca i duri varando qualche misura e/o fornendo qualche dettaglio sugli interventi in cantiere prima del temuto «Rapporto sul debito» continueranno.

L’ostacolo in Italia ha un nome e un cognome: Matteo Renzi. Ieri il segretario ha dedicato il 90% del suo intervento all’Europa. Lo ha fatto per rivendicare la politica del suo governo, l’opposizione al rigorismo, la trattativa continua e puntigliosa con la Ue. «Non ci hanno concesso la flessibilità: ce la siamo presa», ha scandito. E poi,riprendendo un vecchio leit-motiv: «Il tempo della doppiezza europea è finito».
La strategia che il segretario del Pd vuole imporre al governo non comporta strappi, piuttosto un prolungato e continuo braccio di ferro: «Io non voglio la procedura d’infrazione, ma quei 3,4 mld devono essere trovati senza aumenti delle accise». Come? Ufficialmente con la «crescita». Più realisticamente con una trattativa continua: «Lo 0,2% ce lo chiedono sempre. Lo chiedono a tutti. Ma solo in Italia diventa una specie di sfida all’OK Corrall». È la linea che l’ex premier ha seguito nel suo triennio di governo. Resta da vedere se nel quadro della guerra totale tra falchi e colombe che agita l’Ue sarà ancora possibile farlo.
Il segretario, però, non è stato il solo a far fuoco sul ministro Padoan, cortesemente invitato in modo da poter assistere dal vivo al proprio rosolamento. Prima il ministro Delrio, rivolto direttamente al ministro dell’economia, poi Orfini hanno bersagliato le privatizzazioni, in particolare quella delle Ferrovie. «Ho dei problemi a privatizzare le Frecce con dentro il trasporto pubblico regionale», ha detto senza mezzi termini il ministro dei trasporti, e il presidente del Pd concorda. Il punto dolente è che proprio la vendita degli asset pubblici è la carta su cui puntano i rigoristi della Ue per aggredire il debito pubblico italiano.