Pd e governo in poltiglia anche sulle privatizzazioni. Per il ministro dell’economia Pier Carlo Padoan i dubbi del presidente del partito Matteo Orfini e del ministro delle infrastrutture Graziano Delrio «sono timori sbagliati. Andremo avanti». «Non si risolve il problema del debito con le privatizzazioni – aveva detto Orfini al direzione Pd di lunedì – Occorre una grande strategia di investimenti pubblici». Nella stessa occasione, Delrio ha detto che non vuole la privatizzazione delle Frecce ed è preoccupato per le sorti disastrose del trasporto pubblico regionale.

Il problema è anche di Renzi, impegnato nell’impresa camaleontica di tutelare il suo ex ministro e sventare l’aumento di tasse e accise per finanziare la «manovrina» da 3,4 miliardi imposta da Bruxelles, ammortizzati forse a 3 per il record della lotta all’evasione e un Pil con un paio di decimali in più. Renzi ha sostenuto le privatizzazioni fino al 4 dicembre. Nella partita di poker che sta giocando al congresso Pd, privatizzare è un verbo che fa rima con «evitare». Almeno fino al giorno dopo del suo, difficile, ritorno a Palazzo Chigi. Sempre che allora ci sia un partito chiamato «Pd».

Dopo avere taciuto, e incassato le critiche nella direzione Pd, Padoan ha inchiodato il renzismo: «L’idea sul perché si fanno le privatizzazioni non è cambiata – ha detto – l’obiettivo non è solo di fare cassa, ma anche quello di aumentare l’efficienza manageriale. Le privatizzazioni fin qui fatte e quelle che si faranno, non tolgono il posto di guida dello Stato, gli obiettivi strategici che uno Stato affida rimangono pienamente operativi». Se non è una smentita della non-linea del Pd, è la conferma del suo stato confusionale. Aggravato dalle dichiarazioni del sottosegretario allo sviluppo economico Antonello Giacomelli che si è detto «preoccupato e perplesso per la privatizzazione di Poste». Lo scontro è sulla presenza dello Stato in economia. Dopo avere privatizzato il privatizzabile, nel Pd è rinato uno sfumatissimo retropensiero keynesiano che sta dando vita al surreale dibattito su più Stato e meno Stato.

Padoan ha assicurato che le privatizzazioni lasceranno al governo il controllo delle aziende strategiche. Una prospettiva che non soddisfa il presidente della commissione bilancio alla Camera Francesco Boccia: «La legislatura è ormai finita, in Europa non si prendono decisioni in attesa delle elezioni in Francia e Germania; io dico di chiamare un time out». Anche Boccia, da tempo critico di Padoan, è «perplesso nel far procedere in un anno così delicato programmi di privatizzazioni senza alcuna visione industriale ma solo per far cassa».

Per il viceministro all’economia Morando (Pd) sono sette i miliardi da racimolare sul mercato nel 2017, per abbassare un debito pubblico che per Bankitalia è aumentato di 45 miliardi dal 2015. Sette miliardi su 45 (2.217,7 miliardi complessivi) sono un’inezia, la perdita di ricchezza è radicale per il pubblico. Senza contare che l’ultima tranche, dopo quella di Enav, non ha funzionato perché il mercato langue.

Padoan si mostra sereno: «il deficit scende», sostiene. A suo avviso il debito pubblico si sarebbe «stabilizzato» e lo si ridurrà con tutte le leve a disposizione. A dispetto delle perplessità tardive nel Pd, la strada è segnata: si continua con la stessa ricetta. O, in alternativa, si può essere più radicali: «congelare la spesa pubblica per 4-5 anni» ha detto l’ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli. Sperando che la «crescita», la più bassa d’Europa, continui. Una prospettiva terrificante. Sullo sfondo della prova di forza Padoan-Pd c’è questo abisso.
Grande evidenza è stata data ieri alla presenza del direttore dell’Ocse Gurria ricevuto ieri pomeriggio a Palazzo Chigi da Gentiloni. L’Ocse è ottimista: ha alzato la stima della crescita per il 2017 e il 2018 (1%). E ha invitato a perfezionare le riforme che sono costate a Renzi Palazzo Chigi: Jobs Act e «Buona Scuola» e ad approvare la legge sulla concorrenza. Con un ritorno dei tassi di interesse reali ai livelli pre-crisi, intorno al 4,4%, l’Italia rischia di vedere il suo debito crescere fino al 140% del Pil. Occorrono politiche di bilancio prudenti. Prospettive che non piaceranno al Pd diviso e in campagna elettorale.