Non sarà una panoramica sull’arte nazionale né un bazaar delle ultime tendenze che si affastellano una sull’altra. Tantomeno, un tentativo di lettura a senso unico della realtà. Il padiglione Italia voluto da Cecilia Alemani, per la 57/ma Esposizione d’arte della Biennale di Venezia, punta su tre artisti – Giorgio Andreotta Calò, Roberto Cuoghi e Adelita Husni-Bey – chiamati ad interpretare e incarnare con le loro opere Il mondo magico, dal 13 maggio al 26 novembre, presso l’Arsenale, in uno spazio di oltre 1900mq cui si aggiunge il Giardino delle Vergini, lì dove quattro anni fa Sislej Xhafa s’improvvisava barbiere e tagliava i capelli ai «clienti», a cavallo sui rami, in mezzo alle fronde dell’albero. È la performance che più si ricorda in un susseguirsi di sbiaditi padiglioni italiani, quando non impigliati nel trash a tutto campo o in mostre dalla coerenza precarissima.

Il gioco, evidente, di Alemani per il padiglione che verrà è imperniato sullo scarto tra presente e passato, con un occhio strizzato al fascino della ricerca sul campo di Ernesto De Martino e l’altro che guarda, apertamente, in direzione della linea fantastica che ha attraversato il Novecento italiano, in pittura come in letteratura.

Italiana che lavora soprattutto in America, curatrice indipendente di mostre, responsabile del programma di arte pubblica della High Line di New York, dove vive con Massimiliano Gioni (già alla guida di un eccentrico Palazzo Enciclopedico in Laguna, nel 2013) Cecilia Alemani sembra proporre un approccio smaliziato che aspira alla rottura dei confini: disconosce un’arte «nazionale» in favore di una creatività tout court. Ha scelto tre artisti nati tra gli anni Settanta e Ottanta che a lei sembrano muoversi – tutti – lungo le maglie di una rete fiabesca, che contempla la metamorfosi surreale delle cose e della società. L’allucinazione ma anche i capricci dell’immaginario sono quindi gli ingredienti favoriti dalla curatrice del Padiglione italiano 2017, seguendo un itinerario alchemico ed ermetico, fucina di un certo «Rinascimento umbratile», come lo definì Roberto Longhi.

Adelita Husni-Bey, anche lei newyorkese d’adozione, classe 1985, è infatti in dialogo costante con i due poli di realtà e finzione (passando per workshop, giochi di ruolo, incursioni nella pedagogia radicale – per esempio ha fatto gestire ad alcuni bambini francesi un’isola deserta «immaginata» in un’aula della scuola), mentre Giorgio Andreotta Calò cerca l’aura di paesaggi e rovine, luoghi residuali, lavorando intorno ad archetipi e frammenti arcaici. E poi c’è Roberto Cuoghi, che ama «incrostare» la scena con la sua idea di mutazione incontrollata – di linguaggi, rituali, antiche divinità – e finisce per disseminare ectoplasmi in gallerie e musei, realizzati con le sue speciali tecniche pittoriche.