Nella galassia concettuale di Storia della notte e destino delle comete, imbastita nel progetto del Padiglione Italia alla 59/a Espsizione internazionale d’arte di Venezia (apertura al pubblico il 23 aprile), brillano due stelle: quel Pasolini che, inquieto e profetico, avrebbe ridato indietro l’intera Montedison pur di riavere una lucciola, e Anna Maria Ortese che nel suo bellissimo Corpo celeste invitava al «dovere di ferro», cioè a disegnare una prospettiva che determinasse l’uscita dal buio (meglio se dalla porta principale e non dalle retrovie, come fosse una fuga).

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PER IL CURATORE Eugenio Viola (dal Madre di Napoli al Mambo di Bogotà), la mostra in Laguna può raccontare il presente incerto che ci troviamo ad attraversare con un solo artista e puntellandosi a un prologo in sordina e due atti. L’affabulatore che viaggia in solitaria, dalla formazione eccentrica, è Gian Maria Tosatti, artista con il «peccato originale» del teatro che ama anche le commistioni letterarie ed è qui chiamato ad «annunciare una visione palingenica e catartica, praticando l’ottimismo come necessità etica».

Si parte dal miracolo economico italiano del dopoguerra per addentrarsi in una rovinosa caduta di molti di quei sogni affastellati, primo fra tutti il possibile equilibrio tra progresso e natura. Ma, specifica Viola, dentro il padiglione che narra «una irriducibile Italia, non si prende nessuna posizione e il visitatore se ne andrà con molte più domande rispetto al suo arrivo».

Il progetto – non ne fa mistero il curatore – è «ambizioso, difficile e visionario», tanto da sfidare la tradizione avanguardistica dell’opera totale.

Il registro su cui si gioca quest’anno la presenza dell’arte a Venezia è quello oracolare (e il padiglione nazionale quasi risponde alle magiche proprietà del Latte dei sogni versato sulle opere selezionate per la mostra ufficiale da Cecilia Alemani).

Tosatti non si sottrae alla natura immersiva ma – pur con una testimonianza che lambisce l’onirico – ribalta il tema principale immaginando un collettivo «risveglio al presente». Perché, sostiene, la guerra perduta è stata quella con noi stessi, la specie umana è rimasta immobile e – come ricorda la riscrittura delle Troiane dei Motus – ha svenduto a pezzi la sua stessa civiltà, costeggiando l’estinzione per guardare alle piccolezze e non alla complessità della natura.

E SE IL PRESIDENTE della Biennale, Roberto Cicutto, riprende il filo dell’ecosostenibilità e la neutralità carbonica cui tende la Biennale (anche nel suo futuro, quando si trasformerà – secondo volontà del Mic – in un Centro internazionale della ricerca sulle arti contemporanee), Tosatti riaccoglie nel suo percorso espositivo anche il tema caldo delle migrazioni.

Il paragone salvifico è con gli uccelli, capaci di sorvolare le due sponde di un fiume al confine fra la Russia e l’Estonia senza controlli, limitazioni, frontiere a intralcio. «Guardandoli, mi sono sentito fortemente inferiore a loro. Abbiamo smarrito la libertà, quella di poter essere in un luogo o in un altro senza dover fornire giustificazioni».

Qualcuno dal pubblico della conferenza stampa chiede se per caso l’arte stia provando a farci la morale. Negativo: secondo l’artista (cui è stata affidata anche la direzione artistica della Fondazione Quadriennale, seguirà il programma dal 2022 al 2024), il padiglione Italia proverà a immaginare quel che dovremmo trovare il coraggio di diventare. Un vaticinio dunque?

Il budget stavolta non è scarno, anzi: 600mila euro pubblici più un milione e quattrocentocinquantamila offerti da sponsors e donors. Insomma, con due milioni si possono fare molte cose, a prescindere dalla evoluzione darwiniana.