Anche negli Stati uniti i pacifisti tornano a farsi sentire, sfilano nelle piazze per chiedere: «Lavoro, non guerra» e denunciare le manovre militari del governo, costose sia sul piano economico che su quello umano. «Lasciate stare la Siria, non spendete i soldi delle nostre tasse per bombardare degli innocenti, siamo stanchi di guerre», recitavano i cartelli dei manifestanti a New York. Con loro anche dei siriani, chi con le bandiere del proprio paese, chi con il ritratto di Bashar al Assad. Gli oppositori a Assad hanno cercato di attaccare i manifestanti, ma i poliziotti hanno impedito lo scontro. «Obama è un gran mentitore, come Bush, tutti sanno che questa è una guerra per il gas e per il petrolio e la Casa Bianca abusa del termine democrazia per i suoi scopi», dichiara alla stampa una ragazza. E un’altra: «Le tasse che paghiamo non vengono spese per noi ma per i fabbricanti d’armi».
Altri sono venuti a esprimere la loro gratitudine al soldato Bradley Manning, condannato a 35 anni per aver rivelato violazioni di guerra e traffici illeciti del governo Usa, fornendo a Wikileaks i documenti del Cablogate. In molti hanno dichiarato di essere disposti a condividere la sua condanna e lo hanno proposto al Nobel per la pace, «di sicuro ben meritato, non come quello di cui ha beneficiato Obama». Obama «Nobel per la guerra»? recitano anche i cartelli dei no-war in Italia e in Europa, e si chiedono se il presidente democratico opterà per la soluzione militare, anche senza l’appoggio esplicito di alcuni suoi alleati.
Negli Stati uniti, il parere di quel 75% che sta in basso e ha meno risorse non viene tenuto in conto dai decisori politici, ha dichiarato Noam Chomsky a proposito del caso Snowden, l’ex consulente Cia che ha rivelato lo scandalo delle intercettazioni illegali messo in campo dall’Agenzia nazionale per la sicurezza Usa (Nsa). Una questione che ha fatto molto discutere, in nordamerica e fuori in merito allo strapotere dell’intelligence a fini bellici e nelle guerre economiche, e che ha sicuramente contribuito al crescere della contrarietà alla guerra da parte degli statunitensi. Tantopiù in un momento in cui, proprio una presunta intercettazione segreta, proveniente dall’intelligence israeliana, ha portato le «prove» della responsabilità del governo Assad nell’attacco chimico del 21 agosto.
Oltre la «guerra al terrorismo», la voce dei no-war Usa raggiunge così quella dei popoli del sud del mondo e dei governi progressisti che, dall’America latina all’Europa chiedono «una soluzione politica per evitare la catastrofe».