Cento anni fa nasceva Dario Paccino (1918-2005), uno scrittore che ha lasciato un segno negli studi e nei movimenti di difesa dell’ambiente, un anticipatore di problemi che sarebbero esplosi molti anni dopo e che avrebbero preso il nome di «ecologia», di attenzione, cioè, ai rapporti fra gli esseri umani e il mondo circostante.
Già nel 1956 Paccino aveva pubblicato un libro intitolato Arrivano i nostri !, una storia dell’invasione dei «bianchi» nelle terre dei popoli e della nazioni sbrigativamente chiamati «pellerossa».

C’erano, in questo libro, tutti i concetti che sarebbero emersi nel dibattito ecologico successivo; una natura fatta di pascoli e boschi e praterie, abitata da popolazioni di persone e di bisonti il cui numero si autoregolava sulla base della disponibilità di pascoli e acque, cioè sulla base della capacità ricettiva del territorio; i bianchi, di fronte a spazi apparentemente sterminati, hanno trasformato i pascoli in coltivazioni agricole incompatibili con le risorse del suolo, hanno distrutto la popolazione dei bisonti, privando dei mezzi di sussistenza i nativi e uccidendoli, quando difendevano le terre che erano «loro», e confinandoli poi nelle «riserve», veri campi di concentramento.

Dietro la retorica dell’«arrivano i nostri», dei soldati e coloni cantati dai film western, c’è stato un rapido disastro ecologico: in pochi decenni, i campi malamente coltivati sono diventati aridi e sterili e i coloni sono stati costretti a spingersi sempre più a ovest, fino alla barriera delle Montagne Rocciose, lasciandosi alle spalle distese di ossa di bisonti e di umani e di terre desolate.
Paccino è stato forse il primo a «leggere» e descrivere, nella «conquista» dell’Ovest americano, le condizioni che si sarebbero verificate ogni volta che l’avidità dei conquistatori della natura – di una «Terra» che è un bene comune – ha contaminato acque pulite, ha sporcato l’aria con l’inquinamento, ha provocato erosione del suolo e frane e alluvioni.

Paccino spiegò che la violenza alla natura non è dovuta ad un astratto «uomo» miope e imprevidente, ma a regole sociali ed economiche che impongono come «dovere» il trarre più cereali dai campi, più carne dai pascoli, più metalli e carbone dalle miniere, più petrolio dai pozzi, perché tutto questo viene presentato come «progresso».

L’apparente amore per l’ecologia dei paesi ricchi industriali capitalistici, contraddetto dal loro comportamento violento contro la natura nella frenetica avidità di profitto e nella indifferenza per la miseria della maggior parte della popolazione mondiale, furono denunciati da Dario Paccino nel libro L’imbroglio ecologico, apparso nel 1972. Criticato dai benpensanti, il libro contribuì a suscitare una protesta anche morale contro le offese alla natura.

E sulle ipocrisie ecologiche Paccino ha continuato a scrivere; in occasione della catastrofe al reattore americano di Harrisburg del 1979 Paccino denunciò, con il libro La trappola della scienza: tutti vivi ad Harrisburg, coloro che sostenevano che non era successo niente, che il nucleare era la fonte di energia più sicura ed affidabile.
La rilettura degli scritti di Dario Paccino, purtroppo spesso pubblicati da editori e in riviste a limitata diffusione, è una fonte senza fine di stimoli, di osservazioni, di cultura che Dario Paccino diffondeva, con critica ironia e indignazione, a piene mani.