Il vaccino anti-Covid sviluppato dall’università di Oxford produce una risposta immunitaria anche nella popolazione anziana. Lo sostengono le informazioni anticipate ieri dal Financial Times. I dati rivelati dal quotidiano britannico si riferiscono agli studi clinici di “fase 2” sul vaccino e non riguardano dunque i risultati dei test su larga scala attualmente in corso in diversi Paesi.

Secondo le anticipazioni, gli esperimenti su volontari con più di 56 anni (tra i quali anche ultra 60enni) mostrano che il vaccino è in grado di indurre la produzione di anticorpi anche nelle persone anziane. Se confermata, è una notizia positiva e importante per due ragioni. In primo luogo, la popolazione anziana è quella più a rischio e dovrebbe essere la destinataria prioritaria di una campagna di vaccinazioni anti-Covid. In secondo luogo, il sistema immunitario perde efficienza con l’età, perciò non è scontato che la risposta immunitaria generata nei giovani si verifichi anche negli anziani. I ricercatori avrebbero osservato anche una minore frequenza di effetti avversi nelle fasce di età più avanzate.
Le informazioni del FT sono state confermate da un portavoce della AstraZeneca, l’azienda che commercializzerà un eventuale vaccino e che sta conducendo i test su larga scala propedeutici alla sua autorizzazione.

Ma per ora si tratta solo di dichiarazioni giornalistiche, e non c’è ancora una pubblicazione scientifica valutata da altri esperti che fornisca maggiori dettagli sul vaccino. «Per commentare la notizia dobbiamo vedere i dati», ha dichiarato Stephen Evans, professore di farmacoepidemiologia alla School of Hygiene & Tropical Medicine di Londra. «L’ultima fase di test è necessaria per verificare se la risposta immunitaria si traduce in efficacia clinica in grado di prevenire l’infezione. Per dimostrarlo, bisognerà coinvolgere un numero molto più ampio di volontari ed è bene non essere troppo ottimisti finché i test non saranno completati».

L’immunogenicità di un vaccino corrisponde infatti alla produzione di anticorpi. Ma al momento non è chiaro se siano davvero gli anticorpi a contrastare il coronavirus: la risposta immunitaria coinvolge altre componenti come i linfociti T, e non è chiaro quale sia quella più efficace. Inoltre, la persistenza degli anticorpi nell’organismo non è ancora dimostrata con certezza. Non basta dunque osservare la produzione di anticorpi per dimostrare l’efficacia di un vaccino, ma servono test su molte migliaia di volontari seguiti dai ricercatori per lungo tempo.

Il ministro della sanità inglese Matt Hancock ha però raffreddato gli entusiasmi di chi, come il premier Giuseppe Conte, spera in un vaccino distribuito già a fine 2020. «Mi aspetto che il grosso della distribuzione del vaccino avvenga entro la prima metà del prossimo anno», ha dichiarato ieri Hancock. Il ministro inglese ha avuto un colloquio proprio ieri con il suo omologo Roberto Speranza, in cui è stata riaffermata la necessità di una stretta collaborazione tra Regno Unito e Italia nello sviluppo di un vaccino.