L’inusuale emergenza in Occidente, dovuta alla diffusione del virus Sars-CoV-2 e alle misure per arginarlo, ha oscurato l’attuale condizione umanitaria ed economica nei paesi a basso reddito – i quali non potrebbero proteggere davvero le rispettive popolazioni qualora forme gravi della patologia dilagassero.

Oxfam sceglie l’Africa Day per lanciare un nuovo rapporto internazionale, Tutto l’aiuto necessario, che fotografa la realtà del Sud globale al tempo della pandemia Covid-19, lanciando a governi e istituzioni un appello affinché, nei prossimi 12-18 mesi, «quelle economie e i sistemi sanitari più fragili siano messi in condizione di affrontare l’emergenza, con lo stanziamento di 300 miliardi di dollari in aiuti, destinati anzitutto alla prevenzione, ai sistemi sanitari, alla tutela sociale e alla sicurezza alimentare». Si chiede troppo, rispetto ai 153 miliardi di dollari del 2019? È pur sempre «meno di quanto possiedono insieme i tre uomini più ricchi del mondo» ed è «pari al 6% circa degli impegni presi dai paesi ad alto reddito per la ripresa interna». Se proprio vogliamo dimenticare le spese per armamenti (o, nel loro piccolo, le frecce tricolori applaudite da assembramenti veri, per celebrare la fase 2).

La cancellazione del debito estero è un’altra richiesta di Oxfam: il recente annuncio del Fondo Monetario Internazionale (di voler cancellare il debito di 25 paesi in considerazione della crisi) è «un primo passo avanti ma troppo esiguo e sostiene un numero limitato di nazioni». Precisa l’organizzazione: «In 46 paesi poveri l’esborso per il pagamento del debito estero è in media il quadruplo della spesa sanitaria – di 70 volte inferiore di quella nei paesi ricchi».

I paesi ricchi non hanno mai onorato l’impegno a versare lo 0,7% del prodotto nazionale lordo alla cooperazione internazionale (una parziale restituzione del maltolto coloniale e post-coloniale). E adesso di fronte a nuove necessità, c’è chi – come la Francia -, ha iniziato a riallocare verso la risposta al Covid-19 le somme prima destinate ad altre malattie mortali o alla malnutrizione infantile.

Le disuguaglianze fra nazioni e gruppi sociali sono esacerbate dal coronavirus. Mezzo miliardo di persone potrebbero essere spinte verso la miseria. E, se contagiata, solo meno della metà della popolazione mondiale potrebbe accedere alle cure di base; gli 880 milioni che vivono in baraccopoli non potrebbero mantenere fisicamente norme di distanziamento. E in tante realtà, per lo più nell’Africa sub-sahariana, dove si trovano molti dei paesi più poveri, dilaniati da conflitti e da spostamenti di popolazioni, per troppe famiglie è un problema anche avere abbastanza acqua e sapone per lavarsi le mani più di prima, un elemento cruciale per prevenire e ridurre il rischio.

Altre malattie infettive colpiscono acutamente tanti contesti: i sistemi sanitari sono già ridotti allo stremo vista la carenza strutturale di forniture, equipaggiamenti e personale medico. Se il Covid-19 prendesse piede, potrebbero essere trascurate le altre cure. Durante l’epidemia di Ebola, in Sierra Leone, il numero delle donne morte durante la gravidanza fu pari a quello delle vittime del virus. «Ma prevenire è meglio che curare – spiega Francesco Petrelli, consigliere politico di Oxfam Italia su finanza e sviluppo – bisogna concentrare nel breve e nel medio periodo risorse per garantire acqua e igiene, assumere 10 milioni tra medici e infermieri, garantendo assistenza sanitaria di base gratuita per tutti. Il mondo ricco non può pensare di salvarsi da solo». Le buone misure vanno rese permanenti: nella Repubblica democratica del Congo (Rdc), quando il governo decise di fornire cure gratuite a tutti in risposta all’emergenza Ebola nel 2018, questo migliorò le possibilità di trattare anche altre malattie; tutto perso quando il libero accesso è stato rimosso.

«Quattro miliardi di persone sono prive di protezione sociale»: l’insicurezza economica e alimentare da lockdown le sta colpendo in pieno. Quasi 1,3 miliardi di studenti sono penalizzati dalla chiusura delle scuole, che si ripercuote anche sulla loro salute e stato nutrizionale. Il lockdown ha riguardato i due terzi del continente africano. Fughe di capitali, riduzione dei prezzi delle materie prime, azzeramento dei proventi del turismo e delle rimesse avranno effetti devastanti sui mezzi di sussistenza. L’Africa rischia la prima recessione negli ultimi 25 anni. Sostenerne la ripresa è vitale «per non innescare una catastrofe sociale».

Aiutare i sistemi alimentari dei territori: gli interventi devono scongiurare altri milioni di sottonutriti, che rischiano di aggiungersi a quelli pre-pandemia (820 milioni) e alle popolazioni che rischiano la fame a causa degli sciami di locuste. Il sostegno alla produzione agricola è cruciale quanto l’impulso a programmi governativi di acquisto di beni agricoli da piccoli coltivatori per aumentare gli stock, e le misure a favore dei consumatori poveri.

Si tratta anche di «riorganizzare gli aiuti» rendendoli più trasparenti ed efficienti, in grado di affrontare le diseguaglianze economiche e di genere e le crisi ambientali. Per una ripresa verde anche a Sud.